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Quarantena:Le emozioni incomprese dei bambini durante il Lockdown

di Anonimo
11 minuti

LE EMOZIONI INCOMPRESE DEI BAMBINI DURANTE IL LOCKDOWN

Sempre più i nostri bambini, in questo periodo di lockdown, restano inascoltati ed abbandonati nel loro mondo, chiusi nelle abitazioni e costretti a fare i conti con le loro emozioni e fantasie. 

Credo che, in questo momento, rappresentino la fascia della popolazione più penalizzata, avendo perso la dimensione sociale, la scuola e il contatto con gli altri. Stanno vivendo una condizione dettata dalla brusca interruzione dei ritmi, delle abitudini e delle frequentazioni precedenti, condizione che non comprendono, perché incapaci di dare una spiegazione razionale a tutto ciò.

In una delle video chiamate con Luca (5 anni), il bimbo mi dice di essere triste e arrabbiato perché: “la scuola ha chiuso da un giorno all’altro senza poter salutare le mie maestre, non possono vedere i nonni come prima e neanche andare al parco per giocare con i miei amichetti”.

L’epidemia ha repentinamente stravolto le nostre vita, cambiando abitudini, comportamenti e quotidianità. Si vive in una costante situazione di pericolo, che genera emozioni negative, tra cui la principale è la PAURA: la paura di contagio, la paura di ammalarsi, la paura che i nostri cari si ammalino. La paura  accompagna la nostra quotidianità, ma non bisogna demonizzarla, in quanto ci permette di avere comportamenti attenti e previdenti, per evitare il contagio. Il problema è se si diventa ostaggio della paura, per cui si perde la razionalità e si mettono in atto comportamenti irrazionali, spesso irresponsabili. La paura incontrollata può portare, inoltre, a sviluppare panico e a forme di ipocondria, con livelli alti di allerta in presenza di sintomi lievi, riconducibili magari ad una semplice influenza o malessere fisico.

Altre emozioni frequenti in questo periodo sono la noia, la frustrazione ed il senso di impotenza. La mente si affolla di pensieri negativi, a tratti fiduciosi, a tratti disfattisti, regna il caos, fomentato dalla tempesta di informazioni che arriva quotidianamente dai media. Il nostro corpo può iniziare a inviare segnali del malessere psico-emotivo, in particolar modo attraverso la somatizzazione. Ci sentiamo, dunque, confusi, preoccupati e spaventati, ma tutto ciò è normale, per la portata dell’evento che stiamo vivendo, una crisi reale ed oggettiva che crea un potenziale danno psicologico agli individui, sia dal punto di vista emotivo che cognitivo.  

Cosa accade ai nostri figli?

Fin da piccoli essi sono esposti ad un contagio emotivo, cioè in una situazione difficile il bambino fa propria l’emozione che il genitore sta vivendo, come se fosse un vero e proprio virus sociale. Inconsapevolmente ne assume espressioni vocali, facciali e posturali, trovandosi a provare e gestire emozioni quali rabbia, paura e tristezza, senza però aver chiare tutte le informazioni cognitive che spiegano l' evento scatenante e che invece sono chiare agli adulti.

Il riscontro che sto avendo in questo periodo è che ogni bambino sta reagendo alla pandemia e all’isolamento sociale con modalità differenti, ma la costante è che ciascuno di essi riflette il mondo emotivo della famiglia di appartenenza. I bambini, come ognuno di noi, sentono l’esigenza di uscire per evadere dalle mura domestiche. Per esempio Claudio, con gli occhi pieni di lacrime, chiede “di uscire un pochino”; è stanco di restare a casa e vorrebbe andare in bici, al parco giochi, a scuola, giocare con i suoi amichetti o semplicemente “vedere gli altri”. I bambini hanno un linguaggio diverso da quello degli adulti, ma il bisogno di tornare alla normalità, a quei comportamenti che contraddistinguevano la nostra vita prima del Coronavirus, è uguale e sempre forte.

Ciascun bambino, sulla base dei propri aspetti di personalità e delle risorse psico-socio-ambientali (incluse familiari) a disposizione, vive questo momento con singolarità, ma alcuni aspetti sembrano essere uguali per tutti. La prima in assoluto è la presenza di emozioni negative quali paura, rabbia, inadeguatezza sociale, impotenza….emozioni simili all’adulto, che però il bambino esprime con modalità tipiche della sua età: nei più piccoli troviamo pianto, capricci, irrequietezza, irritabilità, perdita di appetito o di sonno, viso intristito, mentre nei più grandi possono presentarsi dolori addominali, inappetenza, mal di testa,  ipercinesia o isolamento, comportamenti aggressivi o apatici.

Il mondo emotivo dei bambini è molto semplice, almeno per noi che ci lavoriamo, ma può non esserlo per un genitore che si trova all’improvviso a viverlo 24 h su 24, magari anch’egli invaso da emozioni negative.

Quello che tutti dovremo fare è ascoltare di più i nostri figli; avvicinarci a loro con il cuore, osservarne i comportamenti, asciugarne le lacrime e distrarli dai pensieri negativi, ascoltarli cioè empaticamente, cercando di scoprire se un pianto o un capriccio nascondono un malessere emotivo.  Attraverso questi atteggiamenti, infatti, i bambini ci chiedono protezione, conforto, rassicurazione, sollievo dalla loro sofferenza. Purtroppo non tutti i genitori riescono a prendere sul serio le emozioni dei bambini, non tutti riescono a comprenderli, limitandosi a punire tali reazioni o ancor peggio ad ignorarle. È così che i bambini iniziano  a reprimere i sentimenti, quale modello familiare appreso. Contrariamente a ciò, un figlio ha bisogno di poter esternare le emozioni, di poterle offrire ad un adulto che sappia accoglierle e restituirgliele modificate, più accettabili e comprensibili.

Quello che è chiaro è che se impari ad ascoltare i bambini, questi sono capaci di aprirti il cuore e svelarti un mondo misterioso e fantastico, che però non ha nulla di irreale!

A tutto ciò si aggiunge il fatto che apparteniamo ad una cultura dove la rete di relazioni è fatta di abbracci, di contatti fisici, di vicinanza e di comunicazione diretta e immediata. All’improvviso tutto è venuto a mancare, perché vietato! Così i nostri bambini hanno dovuto apprendere il distanziamento sociale e corporeo,  procedendo ad una sua interiorizzazione inconsapevole.

Ad esempio nei disegni dei bambini le persone vengono raffigurate distanti, con abbracci cauti; tutto ciò non nasconde però il loro bisogno di vicinanza e presenza, seppur con modalità diversa. 

Hanno appreso, grazie alla forte adattabilità, a studiare tramite pc, a parlare con i compagni e con gli altri  tramite video chiamata o skype, hanno imparato a restare a casa, tutto ciò non senza sofferenza.

Quella sofferenza che non è facile da spiegare agli adulti, soprattutto quando questa comincia a manifestarsi attraverso il corpo; e se un figlio non si sente compreso dalle figure di riferimento  familiari, può optare per la chiusura emotiva o per un isolamento, in camera o dietro la tenda, come fa il piccolo Claudio. Per questo è necessario osservare ed ascoltare il bambino, perché il suo comportamento, una sua espressione o un suo capriccio, possono rappresentare un momento di sfogo o una richiesta di aiuto, che va accolta subito. Non bisogna essere dei super eroi, perché i bambini hanno bisogno di capire ed essere capiti, anche attraverso piccoli gesti quali un abbraccio o una carezza, che rassicurano più di tante parole. Insieme ad un adulto è tutto più semplice, soprattutto se questo sa capire e rassicurare al momento opportuno.

Quando un bambino esplode in un  pianto o si chiude in se stesso ha sempre un motivo ed è necessario capirlo ed aiutarlo, non punirlo.  Bisogna spiegare usando parole semplici, chiare, a loro comprensibili, rispondendo a tutte le domande senza sottrarci, mettendo in evidenza anche gli aspetti di rassicurazione, fiducia e speranza; anche quando è molto piccolo, sulla base delle sue competenze cognitive, deve poter capire ciò che gli è sufficiente per integrare l’emozione vissuta, per elaborare l’evento e superarlo, anche in futuro. Si può usare il disegno o il gioco simbolico, per rendere concreto e tangibile qualcosa che per loro è astratto, cioè non possono né vedere né toccare. Se invece neghiamo, minimizziamo o mentiamo con informazioni incongruenti, si creerà una discrepanza tra le emozioni provate e l’informazione data e il bambino farà fatica a capire cos’è accaduto e resterà nell’incertezza, aumentando paure ed ansie.

Sarebbe importante che il bambino non si senta solo e che sappia che i suoi sentimenti sono gli stessi degli adulti, che la sua rabbia e la sua tristezza sono presenti anche in un genitore, che fa da modello (modeling) su come gestire tali emozioni. È infatti inevitabile che la paura della madre, seppur negata dalla stessa, sia presente sul volto o nella voce della donna e venga letta dal bambino, che la sperimenta indirettamente. La madre dovrebbe riconoscere la paura come emozione normale, legata alla pandemia, darle un nome, condividerla con il bambino, che a sua volta sarà libero di sentirsi spaventato. Dare un nome significa conoscere l'emozione. Saperla riconoscere significa saperla gestire, anche in futuro. Solo se mente e cuore sapranno parlarsi, potranno superare ogni paura!

La condivisione delle emozioni, all’interno di ciascun sistema (dalla famiglia, al gruppo dei pari, agli Alcolisti anonimi) ha sempre rappresentato un aspetto terapeutico e salutare per il benessere psicologico dell’individuo. 

Cosa fare con i bambini?

Approfittiamo di questo periodo per trattenerci più spesso con loro, interessandoci ai loro interessi e, a seconda dell'età, a giocare con loro. A volte è utile coinvolgerli in attività da fare insieme a casa, come cucinare, realizzare qualcosa con il materiale a disposizione, curare le piante, svolgere piccoli compiti domestici, per rendere l’isolamento sociale meno pesante. Non senza dimenticare di  utilizzare feedback positivi per il bambino (Bravo! Fantastico!Sei un artista!), che in tal modo prova una forma di gratificazione e di apprezzamento, importante per alleggerire le attuali sofferenze emotive.

Di grande utilità, inoltre, è cercare di garantire contatti sociali, seppur limitati dalle restrizioni attuali, quali fare video chiamate con nonni, zii, amichetti, oppure semplicemente affacciarsi alla finestra e parlare con il vicino di casa. Per i bambini sotto i 6 anni, che hanno perso il gioco sociale e la quotidianità, è importante che continuino ad avere contatti settimanali con i compagni e/o con le maestre, attraverso video chiamate o incontri su piattaforma educativa, oltre che continuare a svolgere alcune delle attività didattiche programmate per età, preferibilmente la mattina.

Sarà infine necessario garantire una ripresa graduale dei contatti sociali, non appena possibile, ad esempio attraverso la riapertura dei parco giochi, in cui i bambini potranno stare all'aperto insieme ai loro amichetti (se necessario con mascherina, disinfettante per le mani e distanziamento sociale) o favorire la socializzazione (sempre con le dovute misure protettive) negli spazi aperti quali campetto da gioco, piazza o parco fluviale dove poter andare in bici, giocare con la palla, correre, per scaricare le tensioni accumulate e riappropriarsi ognuno della propria dell'identità sociale!

Manuela Di Giampietro

(psicologa-psicoterapeuta familiare

esperta nell'età evolutiva)

Foto Qdpnews

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Commenti

Grazie infinite per queste meravigliose parole ....sei una creatura rara e ti ringrazio per l'aiuto che dai ogni giorno ai nostri figli e soprattutto a noi genitori . ..un abbraccio ?

Mio figlio di 5 anni, dopo aver passato varie fasi da lei descritte ora mi sembra in una fase di crescita. Ho un'altra bambina di 10 mesi e per forza di cose in questa quarantena mi sono trovata a gestirli da sola. Il grande già a Dicembre è tornato a dormire nel lettone con noi, è sempre stato molto mammone. Ma ora ad esempio la notte non mi cerca più, non viene più "appiccicato" a me. E noto anche una sua straordinaria obbedienza nei miei confronti. Non so se è frutto di una sua crescita personale o di un suo allontanamento da me...visto il periodo mi sa che gli ho "chiesto" io di crescere perchè avevo bisogno di aiuto o no di capricci