CHARLES BUKOWSKI NELLA SUA NARRATIVA PARTE DAL PRESUPPOSTO CHE DEBBA ESSERE CONOSCIUTO E RICONOSCIUTO AL PRIMO ISTANTE. LEGGERE I SUOI TACCUINI, PER CHI NON È ABITUATO ALLA SUA VOLGARITÀ, ALLA SUA ASPREZZA, AL SUO DURO REALISMO, È COME FAR BERE A UN ASTEMIO UN BICCHIERE DI GRAPPA. INFATTI LA SUA SCRITTURA NON È PER PALATI DELICATI.
BUKOWSKI È ANTICONFORMISTA, È CREATIVO, È CONSAPEVOLE DELLA PROPRIA DIFFERENZA. HA VISTO TUTTO, VISSUTO TUTTO E NON HA NEPPURE BISOGNO DI RICORDARSENE, MA INTANTO ANNOTA GIORNO PER GIORNO LE SUE SENSAZIONI.
NEL “TACCUINO DI UN VECCHIO SPORCACCIONE” BUKOWSKI PARLA SCHIETTAMENTE, SENZA FRONZOLI. PER L’AMERICA PURITANA E BORGHESE DI QUARANT’ANI FA QUESTO LIBRO RAPPRESENTÒ UN PUGNO ALLO STOMACO. ALLA VITA BORGHESE, AGIATA E RIPETITIVA, SI CONTRAPPONEVA UNA FAUNA UMANA SCASSATA E SFRENATA. I PERSONAGGI DI BUKOWSKI PRESENTANO UN VITALISMO NON EROICO MA SPREGIUDICATO E DISINVOLTO NELLA MELMA.
NON È AGEVOLE RICOSTRUIRE LA TRAMA DI QUEST’OPERA, POICHÉ SI TRATTA DI SPICCHI D’ANIMA, DI PENSIERI LIBERI E DISINIBITI: CHIACCHIERE LUNGHE UNA NOTTE, WHISKIES DI POCO PREGIO, GIOCHI DI CARTE CON IL BICCHIERE SEMPRE PIENO DAVANTI, FUMO NEGLI OCCHI E NEI POLMONI, LUCE SOFFUSA, ODORE DI URINA, “ARIA DI SVACCO PUBBLICO”.
DIETRO L’APPARENZA DI UN MALEDETTO ALCOLIZZATO, BUKOWSKI PRESENTA UNA RARA INTELLIGENZA, CHE LO PORTA A DESCRIVERE CON PENNELLATE DEFINITE E SPIETATE LA REALTÀ, NON SOLO QUELLA SORDIDA DI EMARGINATI, DI PROSTITUTE E UBRIACHI. LE SUE PAROLE SPINTE E SCANDALOSE COSTRINGONO I LETTORI A IMMAGINARE UN’AMERICA DIVERSA DAL MODELLO DI EQUILIBRIO E POTERE APPARENTE. DIETRO L’EMBLEMA DEL BENESSERE C’È UNA POLITICA SBAGLIATA E C’È ANCHE LA GUERRA, QUELLA DEL VIETNAM IN PARTICOLARE. “-CHE DIFFERENZA C’È TRA UN GALEOTTO E L’UOMO DELLA STRADA?-, -IL GALEOTTO È UN PERDENTE CHE CI HA PROVATO-“.
LA NARRAZIONE S’IMPOSSESSA DI STILI E TONI VARIEGATI E SOVRAPPONIBILI. DALLE PAROLE TRASPARE LA DISPERAZIONE ESISTENZIALE DELL’AUTORE, MA ATTRAVERSO QUELLE STESSE PAROLE LUI STESSO RIESCE POI A RESUSCITARE DALL’ABISSO PER TORNARE ALLA VITA IN SUPERFICIE. LO STILE È SECCO, QUASI GIORNALISTICO E I SINGOLI RACCONTI SI INTRECCIANO A CASO, IN UN MAGMA INDISTINTO.
ANCHE QUANDO LA NARRAZIONE SI FA PACATA, SOTTO LA CENERE RESISTE LA BRACE ACCESA, PRONTA A RIPRENDERE FUOCO. COMPAIONO ALLORA NUOVI PERSONAGGI, INSTABILI E DEVIATI, SULLE CUI VITE LO SGUARDO DELLO SCRITTORE RESTA LUCIDO E FREDDO.
LA RABBIA DI BUKOWSKI QUI È TOTALE, I SUOI OCCHI “DI BRAGIA” MANIFESTANO IL DEMONIO NELLA NOTTE ATRA DEI SOBBORGHI CITTADINI. “AMO COLUI CHE VUOL COSTRUIRE ALDILÀ DELLA SUA PERSONA, E CHE COSÌ SI DISTRUGGE”, DIRÀ NIETZSCHE, PERCHÉ UNO SPIRITO NOBILE NON DESIDERA CIÒ CHE SI OTTIENE SENZA SFORZO O UNA VITA FACILE.
NELL’INDECISIONE NON RESTERÀ CHE DIRE: “IL MONDO FA DI NOI UOMINI (E DONNE) DEI PAZZI, E PERFINO I SANTI SONO DEI DEMENTI, NON SI SALVA NIENTE. COSÌ VAFFANCULO”.

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Colpa mia...inserito con il tel non ho potuto modificare. Chiedo scusa ai lettori.