“Avremmo bisogno di un’auto all’incrocio di Prospekt Lenin con Bankovskiy pereulok”
“quanti siete? Dove andate?”
“siamo in tre, andiamo in Ulitza Enthusiastij al 24”
“le mando un sms”
Dopo circa 30 secondi, il beep sul telefonino segnala l’sms che recita: “Dacia Logan rossa in arrivo alle 19:35”
Evgenija chiude il suo Samsung touchscreen nell’elegante custodia Burberry e lo infila in una tasca della sua borsa imitazione Furla.
“Forza ragazzi, attraversiamo la strada” dice a Natasha, la sua amica del cuore che questa sera le ha portato a conoscere il suo fidanzato svizzero, Tomas. Si sente di umore agrodolce, Evgenija. Pensa alla felicità di Natasha, e nota le attenzioni sincere di Tomas per lei. Poi ripensa al suo piccolo uomo, Marat, a casa a fare i compiti con sua madre… e si chiede se ci sarà anche per lei la chance di rifarsi una vita e di avere finalmente, alla soglia ormai dei 30 anni, una vera famiglia.
Seduti schiacciati nel divano posteriore della berlinetta attraversano il grande ponte sul placido fiume sotto di loro. Sull’altra sponda si vedono i pioppi che disegnano i larghi boulevards di periferia, e lo sguardo di Evgenija si fissa per un attimo sullo stemma del sole dell’avvenire con la falce e martello dentro, proprio sulle colonne terminali dove il ponte si allaccia alla terraferma. Si rivede bambina, quel primo maggio di tanti anni fa, quando esile bionda ed orgogliosa “pioniera” attraversava il grande ponte alla testa della sua piccola squadriglia. Veniva dalla città e andava, in marcia insieme a migliaia di altri ragazzi e bambini, ad inaugurare il parco giochi del nuovo quartiere popolare della sponda sinistra. Orgoglio, certezze, musica e colori le tornano alla memoria.
Negoziando la traiettoria tra le profonde buche dell’asfalto, il taxista le chiede dettagli sulla strada da prendere. Solo due anni prima lei era stata a trovare la sua amica Svetlana che inaugurava il suo nuovo appartamento, e adesso il panorama le appariva completamente diverso, non riusciva ad orientarsi. Quello che era un unico, grande palazzo che in lontananza sembrava un muro più che un’abitazione si era ormai perso tra decine di costruzioni identiche semi-finite o ancora in formato scheletro. Gru rampanti si stagliavano davanti ad una luna nuova, bellissima nel cielo blu ancora chiaro e già freddo di fine settembre.
Aveva accolto volentieri la proposta di Tomas di accollarsi i cinque euro del taxi e rassettava il bel mazzo di rose che aveva comprato nel sottopassaggio sotto casa sua. Ad un certo punto l’anziana portinaia era uscita dal suo pertugio e con un tono quasi aggressivo li aveva apostrofati
“chi siete? Dove andate?”
“Buona sera. Andiamo al 15^ piano, da Svetlana e Oleg. Siamo i suoi compagni di scuola”
“Non usate l’ascensore principale, è in riparazione. Andate avanti a sinistra e prendete il montacarichi” – ed era rientrata nel suo microappartamento perennemente affacciato sul corridoio, in cui viveva come un grande pesce rosso vecchio e incattivito.
L’appartamento di Svetlana e Oleg appariva completamente diverso dalle tristi e già decrepite aree comuni del grande edificio residenziale. L’ampio salotto si apriva su una grande finestra affacciata sul palazzo di fronte, identico al loro. Una penisola attrezzata e un gradino li separavano da una grande cucina arredata da mobili italiani e aperta in fondo su un bovindo a tutta larghezza da cui filtrava ancora la luce del sole che spariva a oriente, dietro un infinito mare di terra.
Mentre si toglievano le scarpe nel disimpegno, la padrona di casa, elegantissima e semplice nel suo abitino marrone, si muoveva sui piedi scalzi e circondava di attenzioni pratiche i nuovi arrivati e li aggiornava sulle notizie che aveva appena appreso
“mi ha chiamato Oksana un attimo fa – Oh, Dio, è terribile – suo padre sta male, ha avuto un ictus ed è stato ricoverato in ospedale. E’ successo tre giorni fa, erano a passare il weekend nella loro dacia fuori città, e lui deve essersi sforzato troppo a lavorare in campagna… ora sembra la situazione sia stazionaria… Oksana però ha passato due notti in ospedale dal padre, dormendo su una panchina nel corridoio… ha detto che sarebbe venuta, ci teneva a rivederci tutti… fa solo un po’ di ritardo…”
Evgenija sapeva quanto fosse importante il papà per Oksana. La sua amica, se possibile, aveva una situazione ancora più critica della sua. Il suo lavoro da professoressa universitaria le permetteva a malapena di fare la spesa per le prime due settimane del mese, ed era costretta a vivere ancora con suo padre che – grazie a Dio – tirava avanti abbastanza bene con il chiosco di telefonia mobile che da oltre 10 anni gestiva in una stazione della metro del centro città. Anche lei aveva un bambino che andava alle elementari, e a differenza di lei non aveva mai avuto né una madre né un marito. Tutte le difficoltà della vita non avevano però mai potuto spegnere il sorriso dal viso di Oksana, che anzi aveva preso un pìglio manageriale in tutto ciò che faceva ed era riconosciuta come la leader indiscussa del loro gruppo.
Cercando di fare un po’ da padrona di casa, Svetlana aveva introdotto lei, Tomas e Natasha presso tutti gli ospiti che erano già presenti intorno al grande tavolo imbandito con la cura tipica di una padroncina di casa che fa sempre tutto per essere oltre la perfezione.
Aveva già intravisto Dasha e Ivan, la coppia inseparabile dai tempi del primo anno di liceo. Ora oltre ad essere marito e moglie affiatati, positivi e felici, erano anche “business parners” di una piccola ditta di import-export di oggettistica cinese. Ivan li aveva presentati ai loro amici e corrispondenti di Pechino, una coppia gentile, simpatica e ammantata di una sobria signorilità orientale, Liao-Xi e sua moglie Dao-Ming.
C’erano anche Julia e Sergei. Lei come al solito aperta e cordiale con tutti. Lui sempre un po’ troppo nerd, impacciato in presenza di compagnie superiori alle tre persone, salutava e si ributtava subito a navigare con il suo iPad, chiedendo al padrone di casa lumi sulla connessione Wi-Fi.
Dopo tanto tempo, era presente anche la loro amica Marina. Era tornata da Londra solo da qualche mese, e aveva deciso di ristabilirsi a vivere in Russia. Marina aveva colto l’occasione di presentare a tutti il suo nuovo fidanzato, Artyom. Si erano conosciuti proprio a Londra, dove lui lavorava per una delle società di Roman Abramovic, e avevano deciso di sfruttare i contatti che si erano fatti presso i russi ricchi che vivevano nella capitale inglese per mettere su un’attività di ricerca di personale da spedire a lavorare a Londra e in tutto il mondo. Si occupavano di tutto: dalla ricerca di governanti russian-fluent da impiegare come “manutentrici di guardaroba per VIP” a esperti in contabilità per la redazione di bilanci consolidati delle partecipate russe dei gruppi finanziari inglesi.
Mentre si apprestavano per sedersi intorno al tavolo ed iniziare con gli antipasti, la vodka ghiacciata e le tre splendide insalate preparate da Svetlana, aveva suonato di nuovo la porta. Ridendo Svetlana aveva detto “è Andrej” – “si presenta con la sua nuova fiamma”…
Tutti gli amici della cerchia liceale sapevano che Andrej, con il suo viso angelico da eterno ragazzino e il fisico da nuotatore olimpico, aveva passato gli ultimi dieci anni della sua vita, dopo un tentativo di matrimonio nemmeno troppo convinto, a conquistare ragazze su ragazze. Anche lui, come Sergei, lavorava come software engineer, ma di questo ruolo aveva colto solo gli aspetti anarchici e la libertà di organizzare a piacimento il lavoro.
Tutti si erano alzati per abbracciarlo quando aveva attraversato la stanza con un enorme mazzo di rose rosse per la padrona di casa: lo teneva con entrambe le mani in alto, come fosse la coppa dei campioni, e tutti avevano riso.
Andrej si era poi rivolto a Oleg, il marito di Natasha
“mi permetti di baciare la tua bella, a ricordo dei vecchi tempi?”
Ed era partito un brindisi in suo onore…
Andrej si era poi reso conto che c’era un’esagerata attenzione su di lui, e aveva dirottato lo sguardo dei presenti verso la porta, a cui era restata confinata una splendida e giovanissima ragazza bionda, alta e magra.
“Questa è Jurate, viene dalla Lituania, ed è qui per qualche giorno per un servizio di moda”
La giovane, visibilmente intimidita, si era avvicinata al tavolo, mentre Svetlana le aveva preso una sedia all’angolo accanto a se.
“Jurate, Parli russo?”
Era stata la prima domanda, pronunciata in coro dalle ragazze che si erano sentite subito un po’ mammine nei suoi confronti.
“Ma certo, chi riesce ad imparare il lituano sa già tutte le lingue del mondo” era stata la sua risposta, saggia e paradossale, come appariva lei con la sua abbagliante bellezza e calma da nonnina ottantenne.
Si erano appena calmati tutti, e i tre bambini – Bogdan, il figlio dei padroni di casa, Viki, la bambina di cinque anni figlia di Julia e Sergei, e la piccola Bao-Yu di tre anni se ne erano andati a giocare nella camera di Bogdan, coloratissima, rivestita di una spessa moquette morbida e assolutamente antiurto. Di nuovo suonavano alla porta. Era Oksana.
La poco più che trentenne apparve sul disimpegno con il suo elegante cappotto nero e i capelli tagliati quasi da maschietto. Con lei il suo figlioletto
“Vasja, tu hai già mangiato. Vai in camera a giocare con gli altri ragazzi” – ma Vladimir era stato immediatamente attratto dall’iPad di Sergei, ed in dieci secondi è stato in grado di tirar fuori il suo videogame preferito dall’apparecchio.
Mentre si sedeva a tavola proprio vicino a Jurate, Oksana cominciò a raccontare ai suoi amici la sua storia recente.
“Papà si è sentito male sabato pomeriggio. Mi sono accorta che era qualcosa di serio perché gli si iniziava a deformare il viso, aveva un ghigno strano e sinistro.
Ho chiamato il servizio di emergenza. Mi hanno detto che la regione non era di loro competenza, e che avrei dovuto chiamare un medico in zona.
Ho chiamato questo medico, dopo essere riuscita a trovare il numero da un vicino. Mi ha fatto un sacco di domande, ignorando la gravità della situazione. Dopo circa due ore si è presentato: un 45enne mezzo brillo con una Porsche Cayenne nuova di pacca. Mi ha detto che avrebbe visitato mio padre, ma che prima dovevo pagargli la visita. 80 euro. Li ho tirati fuori, e lui si è limitato a dare uno sguardo a papà, a prendere il telefonino e a chiamare l’ospedale in città.
Va subito ricoverato – mi ha detto. E se ne è andato, tornando ai suoi bagordi del weekend.
Mi sono caricata papà in macchina e mi sono precipitata in ospedale. Un’infermiera si è fatta avanti, mi ha chiesto 10 euro e ha tirato fuori una lettiga vecchia e arrugginita. Ha sistemato papà in una camerata di 10 persone che sembrava un ospedale di guerra.
Le ho chiesto se non c’era una camera migliore, in un reparto più adatto alle sue condizioni: intorno a lui c’erano solo feriti del pronto soccorso, gente che aveva avuto qualche incidente.
Mi ha risposto: il ricovero nel reparto specializzato costa 70 euro al giorno.
Ho tirato fuori i soldi quando ho visto il medico specialista, che mi è sembrato una persona preparata e competente, ed un minimo in grado di capire il mio stato d’animo. Papà già voleva scappare via, diceva portami a casa, se devo morire voglio morire lì.
Adesso sta meglio, tra due giorni lo dimettono. Ho fame ora, non mangio che merendine da due giorni”.
Il dialogo attorno al tavolo si era focalizzato sullo stato dell’assistenza sanitaria nel paese. La padrona di casa aveva raccontato una sua recente esperienza:
“Bogdan ha avuto la febbre a 40, ed ho chiamato il servizio di assistenza di una clinica privata di proprietà di un gruppo tedesco, che di recente ha aperto qui in città. Ho speso 80 euro, ma ho ricevuto un servizio eccellente: si sono presentati in due, estremamente puliti e professionali, nel giro di 30 minuti erano a casa. Mi hanno fatto una ricetta molto dettagliata, scritta in bella calligrafia. Sono poi scesa qui sotto in farmacia, e con 7 euro ho preso gli antibiotici e gli antipiretici che mi hanno indicato loro. Pensate: mi hanno detto che per 5 giorni avevo diritto ad un servizio hotline gratuito a cui rivolgermi in caso di necessità, e che gli ulteriori interventi sarebbero costati solo i diritti di chiamata: 20 euro”.
“Certo che i servizi ci sono – aveva chiosato Sergei, orfano del suo iPad. Ma se non hai i soldi sei fottuto”.
“Ragazzi vi saluto. Non ci vedremo per qualche mese”
Si era alzato in piedi Oleg, il padrone di casa.
“Prendo un aereo tra due ore, devo correre in aeroporto. Ciao amore, ci sentiamo al telefono”.
Aveva baciato la moglie, abbracciato il suo piccolo ed era filato via di tutta fretta.
“Si imbarca per Seoul. Questa volta è capitano su una portacontainer del Gruppo Maersk. Vanno a Rio, poi risalgono su per il Canada e rientrano in Europa, a Rotterdam dopo Natale. Guadagna bene, ma ogni volta che rivede suo figlio deve rifare amicizia con lui”.
= = =
L’aria si era fatta decisamente fredda, ma Evgenija, scesa dal taxi sotto casa sua, si era seduta su una panchina e non aveva voglia di andare a letto. Osservava la grande luna nel cielo blu scuro pieno di stelle. Era stata colta dallo stesso umore agrodolce di inizio serata.
Una stella cadente, interminabile, aveva attraversato la porzione di cielo tra i grandi alberi e i palazzi del centro.
Evgenija aveva avuto tutto il tempo di esprimere e formulare un suo desiderio prima che il suo bagliore si spegnesse.

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