Tre erano e tre restano le “ questioni ” che veramente mi interessano e alle quali – come tra breve dimostrerò – non avete fornito “ risposte ” convincenti e condivisibili.
A ) Prima questione: è legittimo che cinque ( su sette ) MMG del Comune di Montorio abbiano ( a ciò autorizzati dall’Azienda Sanitaria ) lasciato ( chiudendoli ) i loro studi professionali privati e si siano trasferiti ( con il relativo personale ) all’interno della struttura poliambulatoriale ( sede della UCCP “ sperimentale ” ) ubicata nel territorio del precitato Comune per l’esercizio cumulativo e contestuale della loro attività convenzionata ?
L’Accordo per il funzionamento della UCCP stabilisce ( siete Voi a precisarlo ) che “ i MMG si impegnano ad assicurare l’attività della struttura per 12 ore giornaliere … garantendo la costante presenza di un medico ”.
La disposizione negoziale ora richiamata è chiara e non suscita alcun dubbio interpretativo: i MMG devono assicurare “ la costante presenza di un medico ” ( e non di due o di tre o di quattro o di cinque … medici contemporaneamente: se così fosse, il redattore del documento in argomento avrebbe anteposto l’avverbio “ almeno ” alla parola “ un medico ” ).
La Vs. considerazione secondo la quale “ nelle ore di maggior afflusso nulla osta ” che possa prevedersi “ la contemporanea presenza di più medici ” è priva di pregio in quanto non trova riscontro nel testo dell’anzidetta clausola pattizia.
Tutto ciò, senza obliterare la circostanza che il “ maggior afflusso ” a cui Vi riferite è prodotto – per l’appunto – dalla concomitante presenza ( in seno alla predetta struttura pubblica ) di numerosi MMG che vi svolgono la loro attività ambulatoriale di routine: ove – nel rispetto della su evocata clausola convenzionale – nella struttura risultasse presente un solo medico di base, mai potrebbe verificarsi quel “ maggiore afflusso ” da Voi esplicitamente ammesso.
Quindi, in forza di quanto sopra, si può formulare una prima conclusione: per il normale funzionamento della UCCP è necessaria e sufficiente la presenza di un solo medico di base.
Può essere abilitato ( dall’Azienda Sanitaria ) quest’ultimo a chiudere e a trasferire il proprio “ studio professionale privato ” dentro la struttura poliambulatoriale pubblica ?
In proposito, giova puntualizzare che l’ACN per la disciplina dei rapporti con i MMG detta questi precetti inderogabili:
a ) ai fini del radicamento del rapporto convenzionale con la ASL, il medico deve, entro un termine decadenziale, “ aprire … uno studio professionale idoneo secondo le prescrizioni di cui all’art. 36 e darne comunicazione all’Azienda ” ( art. 35, 3° c. );
b ) “ ai fini dell’instaurazione e del mantenimento del rapporto convenzionale di assistenza primaria … ciascun medico deve avere la disponibilità di almeno uno studio professionale nel quale esercitare l’attività convenzionata ” ( art. 36, 1° c. );
c ) “ lo studio del MMG, ancorché destinato allo svolgimento di un pubblico servizio, è uno studio professionale privato che deve possedere ” determinati “ requisiti ” ( art. 36, 1° c. ).
Pertanto, la perdita della disponibilità dello “ studio professionale privato ”, da parte del MMG, comporta, automaticamente, la cessazione del suddetto rapporto convenzionale.
Questo significa che il medico di famiglia deve avere – obbligatoriamente – la disponibilità di uno studio professionale privato: in difetto, si verificano le conseguenze innanzi dettagliate.
Vuol dire, inoltre, che l’Azienda Sanitaria non può “ autorizzarlo ” a privarsene, perché nessuna norma legislativa conferisce alla stessa un simile potere ( v. infra ).
L’asserto trova conforto nella stessa Vs. nota, laddove si precisa ( in verità, in maniera poco perspicua: v. infra ) che “ in merito all’ubicazione degli studi l’Accordo Collettivo Nazionale ( cfr. art. 35 comma 3 e art. 34 comma 12 ) prevede unicamente che i MMG sono obbligati a aprire uno studio medico nell’ambito territoriale per il quale hanno ricevuto l’incarico senza nulla precisare in merito tranne che il medico possa, fermo restando l’obbligo precedentemente citato, aprire ( con autorizzazione da parte della ASL ) uno studio secondario anche in Comuni limitrofi ”.
Questo passaggio argomentativo, come innanzi si è già denunciato, appare abbastanza oscuro e si presta a due diverse letture che, però, non intaccano la sostanziale esattezza della deduzione da me sopra espressa:
a ) secondo una prima opzione ermeneutica, si potrebbe pensare che la sede della UCCP sia stata da Voi qualificata alla stregua di uno “ studio secondario ”: se così fosse – ribadito che il medico di famiglia se, per un verso, può essere “ autorizzato ” ad aprire uno “ studio secondario ”, per un altro verso, giammai potrebbe essere abilitato ( a pena di inesistenza/nullità del relativo provvedimento autorizzativo ) a “ chiudere ” il proprio “ studio professionale privato ” – la “ chiusura autorizzata ” da parte dei medici di base montoriesi dei loro “ studi professionali privati … nell’ambito territoriale per il quale hanno ricevuto l’incarico ” sarebbe inconciliabile con “ l’obbligo precedentemente citato ” ( e sancito dagli arrt. 35 e 36 dell’ACN ), che, viceversa, deve rimanere “ fermo ” ( peraltro, alla concreta praticabilità di questa soluzione sarebbero di ostacolo, in primo luogo, la situazione topografica della UCCP e, in secondo luogo, la circostanza che quest’ultima si sostanzia in una “ struttura ambulatoriale ” – connotata dalla prevalenza del fattore organizzativo su quello personale – ontologicamente non confondibile con uno “ studio professionale ”, in seno al quale, invece, è dominante la figura soggettiva del medico );
b ) secondo un’altra ricostruzione esegetica, si potrebbe supporre che ai medici in parola sia stato da Voi consentito di “ eleggere ( cioè, di “ fissare ” ) l’ambulatorio principale presso la sede della UCCP ” e di dismettere i loro studi privati: ma nessuna norma riconosce in capo alla Vostra Azienda un tale potere.
Al riguardo, la Vostra affermazione che “ solo cinque su sette medici del Comune di Montorio al Vomano hanno optato ( ripetesi: evidentemente sulla base di una Vostra formale “ autorizzazione ” ) per eleggere l’ambulatorio principale presso la sede della UCCP ”, mentre gli altri medici ( due dello stesso Comune e nove dei Comuni limitrofi ) “ hanno mantenuto lo studio principale nella loro sede svolgendo nella UCCP solo una parte del debito orario previsto dall’ACN ”, non solo confligge con la cornice regolamentare sin qui tratteggiata, ma si colloca anche ( “ per la contradizion che nol consente ” ) in rapporto di clamorosa antinomia logico – giuridica con l’altra Vostra asserzione poco più avanti riportata e qui oggetto di analisi: infatti, come si può, da un lato, sostenere che il medico di base può solamente essere abilitato ad aprire uno “ studio secondario ”, “ fermo ” l’obbligo di conservare lo “ studio principale privato ”, e poi, dall’altro lato, concedere allo stesso medico di “ eleggere l’ambulatorio principale presso la sede della UCCP ”, cioè, di un organismo di indole prettamente pubblicistica, con consequenziale chiusura o declassamento a “ secondario ” dello “ studio principale ” ?
La seconda inferenza che può trarsi dal ragionamento sin qui sviluppato è, dunque, la seguente: il medico di medicina generale non può essere autorizzato, dall’Azienda Sanitaria, a chiudere il suo studio professionale privato.
Un ultimo rilievo: nel caso che ci occupa non può trovare applicazione il 4° c. dell’art. 26 ter dell’ACN poiché la UCCP di Montorio al Vomano è stata attivata in via meramente “ sperimentale ” e, inoltre, perché non sono stati ancora conclusi ( per quanto è a mia conoscenza ) gli “ accordi ” di cui al 2° c. del prelodato art. 26 ter dell’ACN.
B ) Seconda questione: è ammissibile che centinaia di assistiti siano costretti a disvelare – coram populo – dati e notizie che attengono al loro stato di salute e alla loro sfera personalissima ?
La risposta che mi avete reso con riguardo alla questione sopra rubricata non coglie nel segno e costituisce, evidentemente, il frutto di un fraintendimento.
In breve e fuor di metafora, quando ho parlato di violazione della “ riservatezza ” degli assistiti ho inteso fare riferimento alla “ realtà effettuale ” ( che a Voi, probabilmente, è sfuggita ) che passo – sommariamente – a rappresentarVi.
L’assistito ( che, solitamente, ha un’età avanzata e presenta uno stato di salute precario e che, se è residente nell’ambito del perimetro del “ Centro Storico ”, è costretto a percorrere – spesso senza l’ausilio di un automezzo – un paio di chilometri per raggiungere la struttura sanitaria in discorso ), accedendo alla sede della UCCP, si trova davanti allo scenario di seguito descritto.
Varcata la soglia d’ingresso, egli “ si immerge ” in una vera e propria “ folla ” di “ assistiti ” ( la cui formazione è favorita anche dall’angustia dei locali: v. infra ) che sono in attesa:
a ) di essere visitati ( dopo aver prenotato i loro posti in fila mediante l’acquisizione del relativo ticket ) dai rispettivi medici di “ famiglia ” ( o, in caso di assenza di questi, da uno dei medici di MG di turno, salvo che preferiscano rinunciare alla visita, rimandandola ad un altro momento coincidente con la presenza in sede dei primi )
b ) e/o di ottenere il rilascio di una “ ricetta medica per farmaci ” o di “ una prescrizione per visite specialistiche o per analisi ” dai due segretari presenti all’interno della postazione deputata alla “ accettazione ” ( e che possono anche non essere alle dipendenze del medico di fiducia del singolo paziente ), previa formulazione delle relative richieste al cospetto sia degli altri assistiti che di entrambi i sunnominati segretari ( mentre queste richieste, per il loro contenuto “ riservatissimo”, dovrebbero essere esternate all’interno di una apposito locale, materialmente separato dagli altri vani, e in presenza del solo collaboratore del medico di famiglia o di un solo segretario e, comunque, dovrebbero essere presidiate da tutte le cautele dirette ad evitare la propalazione di dati “ sensibilissimi ”, quali sono quelli afferenti alla salute della persona ).
La “ privacy ” dei cittadini, dunque, non appare, sotto i profili appena rimarcati, pienamente assicurata, atteso che i loro dati “ clinici ” possono essere conosciuti – sia pure in modo accidentale – dai terzi ( in particolare, dalla generalità degli altri assistiti ).
C ) Terza questione: inadeguatezza strutturale e funzionale dei locali ( rispetto al dichiarato obiettivo di istituire un “ Ospedale Territorio “ ) e correlativa possibile compromissione delle condizioni igienico – sanitarie
Sopra è già stata sottolineata l’esiguità spaziale dei locali messi a disposizione della UCCP.
Successivamente alla inaugurazione di quest’ultima, è stato eliminato un ambulatorio per realizzare una piccola ( e, in origine, non programmata ) “ sala d’attesa ” ( dotata di soli venticinque posti a sedere ) non in grado di accogliere tutti gli assistiti che – quotidianamente – si portano presso la suddetta “ Unità ”, con la conseguenza che molti di essi sono costretti a stazionare nel contiguo locale dove è posta la “ segreteria ” ( v. supra ).
Questa insufficienza dimensionale e strutturale produce effetti particolarmente negativi sulla funzionalità e sull’efficienza dei servizi resi dalla UCCP: infatti, oltre a determinare i problemi collegati al rispetto della “ privacy ” degli assistiti di cui avanti è cenno, l’endemico sovraffollamento ( dal quale discende una inaccettabile promiscuità ) che connota i locali di quest’ultima potrebbe – in prospettiva – seriamente pregiudicare le minimali condizioni igienico – sanitarie degli ambienti in dotazione alla medesima.
Solo per fare degli esempi ( e sulla base di quanto mi è stato riferito da alcuni cittadini ), se nel periodo estivo la temperatura è elevata e l’aria è irrespirabile, in quello invernale alto è il rischio – da parte degli assistiti – di contrarre ( soprattutto durante i cc.dd. “ picchi influenzali ” ) le malattie tipiche della stagione fredda.
Sulla scorta delle superiori notazioni, Vi chiedo ( salvo quanto aggiungerò appresso ) di somministrare le conformi misure provvedimentali che il caso di specie esige,
a ) rimodulando il modello organizzativo della UCCP di Montorio al Vomano in termini maggiormente rispettosi dei diritti e delle esigenze dei cittadini ( di cui si sono già fatti portavoce Giancarlo Falconi e Francesca Di Francesco **, nonché il M5S locale ),
b ) e cioè “ garantendo la costante presenza di un ( solo ) medico per 12 ore giornaliere ”, così da permettere la “ riapertura ” degli studi medici mentovati in premessa,
c ) e, comunque, introducendo i correttivi necessari ai fini del superamento delle “ criticità ” sopra denunciateVi.
Avrei potuto – coerentemente con il complessivo assunto che precede – chiedere “ altro e di più ”, ma reputo opportuno fermarmi qui: mi arresto qui con l’auspicio che ( a prescindere dall’esito che avrà l’istanza che ho innanzi rassegnato ) gli Amministratori Pubblici locali, i Dirigenti della AUSL e della Sanità Regionale e gli stessi medici di base abbiano la capacità di aprire un “ tavolo di concertazione ” per dare al “ problema ” qui dedotto una giusta soluzione, usando intelligenza e buon senso e mettendo al bando ogni forma di estremismo di natura ideologica e/o corporativa.
Gersan Persia
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