25 Novembre. Giornata contro la violenza sulle donne. Volentieri ospitiamo una lettera che solo una madre poteva scrivere.
"Ci sono violenze che non fanno rumore, ma scavano dentro lentamente.
Sono quelle che non lasciano lividi sulla pelle, ma li lasciano nell’anima.
La più invisibile di tutte è la violenza dell’abbandono:
quando un padre sceglie di non esserci, di non partecipare, di non assumersi la responsabilità di crescere il figlio che ha messo al mondo.
È una ferita che ti costringe a diventare due persone in una: madre e padre.
A essere presente sempre, anche quando sei stanca, spaventata, schiacciata dal peso di tutto.
A correre ai colloqui, alle recite, alle partite, alle notti con la febbre alta,
e a guardarti allo specchio ogni mattina mormorando: “Forza, tocca ancora a te.”
E mentre fai tutto questo, ti allontani dall’idea di madre che vorresti essere:
dolce, paziente, leggera.
Invece ti ritrovi con lo sguardo appesantito, e quando tuo figlio ti dice
“Mamma, sembri sempre arrabbiata…”
un pezzo ti crolla dentro.
Perché capisci che non è la rabbia: è la fatica di chi porta sulle proprie spalle un peso che non doveva essere solo suo.
È violenza quando affronti da sola le visite, le diagnosi, le paure che un genitore dovrebbe dividere a metà.
Quando sei tu l’unica mano da stringere, l’unica voce che rassicura, l’unico pilastro in ogni tempesta.
È violenza quando insegni a tuo figlio ciò che dovrebbe insegnargli anche un padre…
e lo fai con un cuore che deve essere doppio, perché lavora per due.
Ed è violenza anche quando arrivi davanti a una banca e vieni guardata con sospetto
non per ciò che sei, ma per ciò che sei rimasta: una madre sola.
Sola perché qualcuno ha scelto di non esserci.
Sola perché il peso che doveva essere condiviso ora ricade tutto su di te.
E allora, all’improvviso, anche la tua puntualità diventa “non abbastanza”.
Il tuo senso di responsabilità diventa “un rischio”.
La tua autonomia — costruita con sacrifici, rinunce e notti interminabili — viene trattata come fragilità.
Non perché tu non sia capace,
ma perché qualcun altro non ha fatto la sua parte.
Eppure tu resti.
Resti ogni giorno, ogni notte, ogni volta che ti sembra di non farcela.
Resti quando sei stanca, svuotata, invisibile.
Resti anche quando avresti bisogno di qualcuno che resti per te.
E questa parte nessuno la dice abbastanza:
che affrontare l’assenza di chi doveva esserci è una forma di violenza.
Che crescere un figlio senza il padre non è una scelta: è la conseguenza della scelta degli altri.
Che la tua forza non dovrebbe essere un obbligo, e invece lo è diventato.
Ma tu, con quella forza che non ti sei mai attribuita,
continui a essere un porto sicuro.
Continui a dare amore anche quando sei esausta.
Continui a costruire un futuro più stabile per tuo figlio, mattone dopo mattone,
anche quando nessuno vede quanto pesano quei mattoni.
Lettera Firmata
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