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Roger...arriva il Presidente!

di Giancarlo Falconi
1 minuto

«Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura.D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.»Italo Calvino nelle Città Invisibili, in quei nove capitoli avrebbe ospitato il luogo non luogo di piazza Garibaldi che per quasi 90 minuti è stato il palcoscenico muto ma di suoni feriti, muto ma di suoni vivi, muto ma di poesia vivente, muto ma di parole al vento e contro vento, muto ma con musica maestro, muto ma di passione quotidiane, muto ma di fotografie e realtà di Roger arriva il Presidente. Il cinema è il “come”, non il “cosa”, diceva Alfred Hitchcock. Marco Chiarini ci ha condotto per mano in universo che si ripeteva come il giorno della marmotta. Roger il suo bassotto alla ricerca costante ad ogni uscita con ogni stagione, pandemia, pianti, risate, terrore, festeggiamenti, di nuovi umori e odori. Un film non film con attori non attori e con recitazioni non recitazioni. Si chiama, cinema. Per questo l’inaspettato ci ha ricordato i film d’esordio di Ken Loach come a memoria “Poor Cow o Family Life” dei primi anni 70. Roger arriva il Presidente è pura poesia dello scorrere del tempo attraverso il tempo che scorre; una coda che si tocca e si confonde nella meravigliosa banalità ripetitiva di ognuno di noi. La poesia? L’uomo nelle sue debolezze, mancanze, fragilità che si muove nel cerchio del tempo che può diventare sicurezza e felicità.  «Il tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta. È per questo che l’uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione. (Milan Kundera)».

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