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Il Corrosivo. Quando il programma è un minestrone

di Elso Simone Serpentini
6 minuti

Sono completamente diversi tra loro, e antitetici, i percorsi seguiti da Platone e da Aristotele nel tentativo di individuare la forma ideale di governo. Platone parte da un’idea universale della polis e della sua struttura, delle sue finalità e delle sue funzioni, poi analizza la possibilità di realizzare, cioè di dare realtà, ciò che è ideale e quindi di costituire una Repubblica, cioè uno Stato, che di quell’idea, presa e considerata come modello, sia la trasformazione in cosa tangibile e visibile.

Aristotele parte dall’analisi delle più note costituzioni del suo tempo, in vigore nelle varie polis della Grecia, che non aveva forme politiche unitarie, per individuarne gli aspetti migliori, e, scartati quelli peggiori, comporli in unità e concretizzarli in una costituzione unica, che avrebbe accolto il meglio del meglio e sarebbe stata, perciò, la migliore possibile. Sia per l’uno che per l’altro la costituzione ideale era, per l’appunto, ideale, ma l’idealità stava per Platone all’inizio del processo politico di realizzazione della migliore costituzione possibile, per Aristotele alla fine. Questo in piena armonia con la preferenza accordata da ciascuno ad un diverso metodo, quello deduttivo per Platone, quello induttivo per Aristotele.

Ora, consideriamo, per analogia, la forma ideale di costituzione che i due filosofi ricercavano con il programma ideale che ciascun candidato sindaco cerca di individuare per farlo proprio nel proporsi agli elettori cercando di convincerli della sua bontà e quindi ad esprimere consenso elettorale. Due sono le possibili vie per arrivare a definire un programma ideale, che poi, nel caso di un candidato sindaco, deve necessariamente essere un insieme di obiettivi che ci si propone e un elenco di cose che ci si propone di fare in nome del benessere collettivo e dell’interesse comune della città.

La prima via consiste nello studiare, pensare, analizzare il passato, individuando il bene e il male che lo hanno caratterizzato, le scelte ritenute giuste e quelle sbagliate, riflettere su quanto andrebbe continuato e su quanto andrebbe interrotto e mutato, su quanta innovazione sarebbe necessaria, e, sulla base di questa attenta valutazione, indicare e proporre scelte e soluzioni, obiettivi e finalità. Insomma, passando per questa via, il programma sarebbe il risultato di una serie di considerazioni, ma poi diventerebbe una “idealità” dalla quale muoversi per fare proposte concrete sulle quali cercare di ottenere il maggior consenso possibile. Il candidato sindaco, in tal modo, elabora un suo programma, lo spiega, lo sottopone al vaglio elettorale e, se eletto, lo attua o cerca di attuarlo. Si tratta di una via che, per analogia, definirò “platonica”, perché parte da un ideale e si conclude con un reale.

La seconda via, che definirò, sempre per analogia, “aristotelica”, perché parte da un reale e si conclude con un ideale, è antitetica alla prima. Consiste nel chiedere ai cittadini di fare delle proposte, di indicare soluzioni possibili ai mali indicati come tali e conferme ai beni indicati come tali, nel valutare le proposte, che risulteranno ovviamente assai variegate tra loro e spesso contraddittorie, nel tentare di sanare le contraddizioni, nel farne un “unicum” accettabilmente unitario e ricavare dalle indicazioni un orientamento programmatico, scandito da obiettivi generali da perseguire come primo cittadino e da cose concrete da fare.

Se sono riuscito a chiarire in che cosa consista la differenza tra le due vie, tra le quali non credo ci sia possibilità di una composizione, persistendo una distanza reciproca considerevole, sarà facile capire, al di là delle mia capacità espositive, perché prediligo la prima e non la seconda. Nella prima il candidato sindaco, dopo aver elaborato il suo programma, non avrà che da illustrarlo e appellarsi a quanti lo condividono perché lo sostengano, senza doversi preoccupare della possibilità che si manifestino delle contraddizioni interne, perché esse saranno state certamente valutate prima. Nella seconda il candidato sindaco avrà sempre da combattere, fin dal primo giorno, con la difficoltà di dare unitarietà a ciò che unitario non è, provenendo da proposte diverse e spesso in antitesi tra di loro.

Il grande pericolo che dovrà fronteggiare, sia nel delineare il programma sia nell’attuarlo se sarà quello prescelto dalla maggioranza degli elettori, sarà quello di trovarsi con un programma-minestrone, in cui sono confluite idee antitetiche di difficile se non addirittura impossibile composizione, che risulterà indigeribile come una pietanza ideata male e preparata peggio senza che l’amalgama dei vari ingredienti sia riuscito.
Poiché continuerò ad essere renitente al voto (lo sono dal 1995), non sarò chiamato ad esprimere il mio consenso elettorale a questo o a quel programma dei vari candidati sindaci, ma avrò ugualmente il diritto di esprimere il mio giudizio e non esprimerò mai un giudizio favorevole al programma-minestrone di chi avrà detto ai cittadini: fatemi le vostre proposte e sulla base delle vostre proposte definirò il mio programma, che sottoporrò al vostro vaglio elettorale.

Sarò assai più favorevolmente portato ad esprimere un giudizio favorevole, se meritato, su un programma che sarà stato prima pensato e poi proposto agli elettori. Anche se dal giudizio eventualmente favorevole non trarrò mai la conseguenza di un suffragio espresso nell’urna.
                           
                                          
 

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Prof. Ricorda il programma per Teramo 2020? Fu copiato da quello di Ascoli Piceno. E prima ancora, ricorda il programma che diceva: "il lotto zero non ha ragione di esistere ne' come variante n'è come tangenziale sud"? Servi' per costruire il lotto zero e non la tangenziale nord. Bisogna che studino i candidati. Bisogna che studino, pero', anche gli elettori. Le elezioni non sono, cari concittadini, una "bicchierata tra amici" dietro il pifferaio di turno.
anche io sono per la via platonica, ma dopo tutte le delusioni dei vari candidati sindaci, presidenti di regione, parlamentari e leader maximi che dicono una cosa e poi ne fanno un altra, penso che non andrò più a votare in questa repubblica delle banane, ultimo residuato bellico del feudalesimo.
Con la descrizione delle correnti filosofiche greche ha giustamente cercato di trovare una fonte ai comportamenti degli aspiranti sindaco a Teramo. Io purtroppo ho una visione distorta delle tecniche per ottenere suffragi. Ultimamente ho sognato un patron che aveva la forma di una testa di piovra alla quale erano attaccati numerosissimi tentacoli ed ogni tentacolo aveva tante ventose, (http://1.bp.blogspot.com/_2XhMEjpGPdk/SxGRWHuR8rI/AAAAAAAABJc/4Lo8vSaoU…) durante il risveglio si sono animate tutte le parti del mollusco personificandosi nella maniera che tutti immaginano, lo stupore più importante è arrivato quando nell'animarsi le ventose hanno preso le forme degli oppositori che erano ben radicati in tutto il sistema. Tutto questo sogno viene reso verosimile dai sondaggi che portavano alla riconferma del sindaco con una percentuale che comprende la maggioranza l'opposizione con esclusione di qualche grillino ed i renitenti.
Caro prof. il non voto è sicuramente un aspetto della nostra società democratica, però distorto, perchè purtroppo lascia agli altri la scelta e l'onere di eleggere qualcuno sulla base dei suoi discernimenti. Penso sarebbe più logico, andare a votare, chi? La persona che si ritiene più vicina al proprio modo di pensare e di intendere la vita pubblica e politica del territorio. Anzi, dirò di più, il non andare a votare purtroppo alimenta quella frangia di politici più organizzati, toglie fiato a quelli più deboli e genera un vorticoso malcontento, che c'è indubbiamente ma che cosi facendo non cambierà mai. Il primo passo del cambiamento è il nostro, se vogliamo veramente che le cose cambino, dobbiamo avere la forza di esporci col voto, che al momento è l'unico strumento a disposizione. Certo che poi il tutto non si esaurisce con il voto, ma con la misura dell'operato, con la partecipazione attiva alla vita pubblica, con la protesta e magari la denuncia nei casi particolari, insomma, ci dobbiamo svegliare.......anche se a guardare dalla finestra, con questa neve e col camino acceso, magari un po di sano torpore è consentito e fa bene!!! Un abbraccio e prof. ...ci vediamo nell'urna:)
RIFLESSIONI DI UNO PSEUDO COSTITUZIONALISTA NON AUTORIZZATO. no grazie, la democrazia partecipatoria auspicata dall'aspirante sindaco, di cui mi sfugge ancora il nome, sembra proprio quella suggerita dalle provocazioni di beppe grillo. ritengo timidamente che tale democrazia non potrà mai funzionare, parimenti al prof. serpentini, che ha ritenuto di scomodare platone ( 5 secoli prima di cristo) e il suo ex allievo, poi peripatetico, Aristotele ( 383 a.C. ). il movimento 5 stelle che, personalmente, considero un esperimento da laboratorio voluto dai poteri forti, anzi fortissimi di origine americana, non è altro che la riproposizione dell'esperimento volto a sostituire la democrazia rappresentativa con quella diretta, ipotizzato nel lontano 1980 dallo scrittore americano alvin toffler che voleva abolire il congresso americano e far fare le leggi non dai deputati ma dai cittadini. una democrazia partecipatoria dove i cittadini, grazie alle comunicazioni elettroniche ( internet forse non esisteva ancora), con molto tempo libero e liberi dai bisogni materiali, cercano l'autorealizzazione e decidono direttamente di tutto quello che li riguarda . pura, purissima illusione che, anche l'aspirante sindaco di teramo, farebbe bene ad accantonare, con tutta urgenza. questa sorta di municipio elettronico in cui i cittadini sono continuamente chiamati e sollecitati, ad esprimersi per scegliere, ripudiando ogni forma di mediazione politica ed istituzionale preposta ad assolvere al compito............NON SE PO' FA, NON SE PO'........NON SE PO' FA!!!