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L'Izs potrà fare molto di più nella lotta contro la pandemia da Coronavirus SARS-CoV-2

11 minuti

La pandemia Coronavirus SARS-CoV-2 sta impartendo una dura lezione al Paese: la mancanza di organizzazione si paga a caro prezzo. E se anche esiste una organizzazione sanitaria che si presume evoluta, come quella italiana, finalizzata tuttavia all’ordinarietà di una Medicina clinica tradizionale, alcune carenze sono evidenti.

La mancanza di Piani di emergenza aggiornati e di Protocolli univoci sul territorio nazionale; la mancanza di una direzione strategica e tattica unica nazionale (con conseguenti comportamenti multiformi e contraddittori); i ritardi delle decisioni; l’assenza totale di preparazione del sistema nel suo complesso, per combattere situazioni nuove e tuttavia non imprevedibili come la circolazione dei patogeni nel villaggio globale, hanno pesato moltissimo nell'evoluzione dell'epidemia da COVID-19 e ne hanno aggravato le conseguenze sanitarie ed economiche.

Se in caso di emergenza non si dispone immediatamente di strumenti giusti, accuratamente preparati e “provati” con esercizi ripetuti nel tempo e nello spazio, insieme a competenze tecnico-scientifiche ed esperienze adeguate, è pressoché inevitabile che si assumano decisioni e si effettuino interventi controproducenti. Imitare modelli operativi di Paesi con organizzazioni e culture diverse, invece di puntare sui punti di forza della propria organizzazione e prescindendo dalla propria cultura, è un errore madornale.

Il grande cuore di questo Paese risponde sempre con gli slanci eroici che caratterizzano la sua gente, slanci eroici che però possono anche essere insensati, con risultati devastanti, come la carica della cavalleria polacca contro i panzer tedeschi.

Eppure questo Paese ha dimostrato e dimostra la capacità di rispondere in modo adeguato se il cuore viene guidato da razionalità e organizzazione.

Costruire ospedali ex novo in pochi giorni, riedificare un ponte in pochi mesi, sono indicatori di una capacità potenziale che, in alcuni casi eccezionali, riesce ad emergere dalla burocrazia e dalla improvvisazione. Capacità che solitamente non si esplica - come reso evidente da situazioni incancrenite per esempio nei crateri sismici - per la persistente e quasi atavica incapacità di coinvolgere le troppe regioni e province in un sistema infrastrutturale condiviso, all’altezza di un Paese moderno e, soprattutto, con una decisionalità rapida e coerente.

A tutto ciò si può e si deve porre rimedio con una organizzazione diffusa e resiliente che coinvolga tutte le risorse e le professionalità in grado di contribuire a dare risposte razionali, oltre quelle emotive ed episodiche. Un sistema, dunque, che in caso di emergenze epidemiche sappia rispondere in modo coerente e rapido con una direzione nazionale unica. I virus non capiscono che esistono confini regionali e non capiscono nemmeno che l'uomo è un essere particolare: lo considerano solo un altro animale ospite da parassitare!

In questo contesto, il caso della Medicina Veterinaria, nel suo complesso e nelle sue articolazioni tecnico-scientifiche e territoriali, rappresenta un caso singolare. E' stata completamente ignorata, come se non esistesse, come se non fosse parte integrante del Sistema Sanitario del Paese. Una cosa davvero inspiegabile, visto il contributo che avrebbe potuto dare, e ancora di più potrà dare, soprattutto a fronte delle implicazioni tecnico-organizzative del futuro, anche immediato.

In questo Paese si propugna - in verità in modo un po' retorico e secondo un modello anglosassonofilico - la visione olistica della Salute unica (One Health), della quale, peraltro, la Veterinaria italiana è antica, storica espressione. Si propugna, in altre parole e giustamente, un modello di sanità basato sull'integrazione di discipline diverse, anche non strettamente mediche, perché riconosce l'indissolubile legame tra la salute degli esseri umani e quella degli animali e dell'ambiente.

In questo momento, però, nessuno fra quelli che stanno in qualche modo decidendo le sorti del popolo italiano - non solo della sua salute -  sembra aver realizzato che SARS-CoV-2 è un agente zoonosico, vista la sua origine da animali non umani. Si tratta di un virus che provoca una malattia infettiva con lesioni polmonari che, più che della sua azione litica, sono frutto, soprattutto, della reazione immunitaria dell'ospite. In ogni caso, le sequele sulla funzionalità respiratoria, dovute alla distruzione irreversibile di parenchima polmonare, sono importanti. Si tratta di un agente la cui patogenesi e epidemiologia, sembrano essere una copia quasi esatta dell’agente della Pleuro Polmonite Contagiosa Bovina (PPCB). Chiunque osservi le immagini dei polmoni di un uomo affetto da COVID-19 e quelli di un bovino colpito da PPCB non può non restarne colpito. Siamo di fronte ad una epidemia dovuta ad un agente che si localizza a livello dell'apparato respiratorio e che si trasmette, in modo assolutamente prevalente, per via aerogena, con le ovvie conseguenze in relazione al rischio costituito dagli ambienti confinati e i sistemi di areazione forzata. Un'infezione che va fronteggiata a livello di gruppi e di popolazione e non di individui, secondo la stessa prassi seguita da secoli dalla Medicina veterinaria nel fronteggiare le epidemie animali.

COVID-19 è una malattia infettiva virale a trasmissione aerogena che, in assenza di vaccini, si diffonde in popolazioni vergini (con nessuna esperienza pregressa dell'agente) pienamente recettive. Si tratta, dunque, di una malattia "esotica" che, per ovvii motivi patogenetici, si diffonde in aggregati discreti (Clusters) che vanno individuati e circoscritti, per quanto possibile, prima della loro diffusione. Questa avviene a partire dagli aggregati o per continuità (lentamente e in modo prevedibile) o con il movimento di soggetti infetti (velocemente e in modo imprevedibile, ma tracciabile). Chi mai in questo Paese ha affrontato e VINTO una malattia infettiva di questo tipo? Chi mai ha combattuto e VINTO una malattia infettiva ad andamento epidemico senza l’ausilio di antibiotici o vaccini? Chi, in questo Paese, ha esperienza concreta di diagnostica di massa delle infezioni, di come circoscriverle, o di come effettuare in modo efficiente ed efficace il rintraccio dei casi a seguire (follow-up), partendo da individui e aggregati di individui infetti o, infine, di come si verifica lo stato immunitario di una popolazione?

L’organizzazione veterinaria in Italia, in questi ultimi 60 anni, ha dimostrato ampiamente di saper operare in favore della salute pubblica, di conoscere la gestione delle emergenze, di saper effettuare analisi epidemiologiche sofisticate di saper controllare le epidemie, con vaccini e senza vaccini, come è accaduto nel caso di Afta epizootica, Peste suina, Influenza aviare, BSE, PPCB, solo per fare alcuni esempi. La Medicina veterinaria ha affrontato e vinto queste battaglie perché era preparata e disponeva di Centri nazionali di referenza di alto profilo scientifico, che davano le indicazioni tecnico-scientifiche necessarie e mettevano a disposizione i metodi diagnostici più appropriati alla Direzione Generale dei Servizi Veterinari del Ministero della salute. Il Ministero della salute era unico responsabile del governo e della direzione strategica delle azioni. Queste sul piano tattico e operativo, erano materia propria dei sistemi regionali che agendo, secondo le direttive dello stesso Ministero, operavano in modo coerente e organico. I laboratori di veterinaria dell'Istituto Superiore di Sanità erano parte integrante del sistema unico nazionale. 

Certo, i laboratori di tutti gli Istituti  Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS) sono stati coinvolti nella diagnosi di coronavirus sui tamponi prelevati dall’uomo, ma questo è solo una minima parte di quanto la Veterinaria e gli stessi IIZZSS potrebbero contribuire al controllo di questa epidemia.

E dunque, anche in una prospettiva di ripensare il futuro di un Paese più organizzato, perché non coinvolgere i vertici delle Organizzazioni veterinarie?

Perché non sono sfruttate competenze e responsabilità che la Veterinaria può mettere a disposizione in materia di epidemiologia delle malattie infettive contagiose – in termini di diagnosi, di metodi di campionamento, di analisi della dinamica delle infezioni nelle popolazioni - a partire dalla capacità diagnostica di laboratorio per le indagini di massa, indispensabili, soprattutto nelle fasi post-epidemiche per quantificare rischi residui, emergenti e ri-emergenti? Nessuno in Italia è così organizzato per effettuare la sierologia indispensabile nella gestione delle epidemie, in relazione non solo alle diagnosi, ma anche e soprattutto, al loro contenimento e alla gestione delle fasi post-epidemiche. Nessuno conosce meglio i corretti comportamenti igienici in ambiente domestico e lavorativo, in particolare, la sanitizzazione ambientale, che sembra costituire attualmente un problema piuttosto rilevante, soprattutto in ambiente nosocomiale. I veterinari, insomma, gente preparata ad affrontare le implicazioni di carattere sanitario che "il villaggio globale" comporta. COVID-19 non è la prima malattia infettiva capace di provocare epidemie di tipo respiratorio su vasta scala. L'influenza - soprattutto e storicamente (umana, aviare, suina) - la SARS, la MERS, la COVID-19 sono infezioni che hanno due caratteristiche comuni: l'origine più o meno ancestrale da popolazioni animali; la comparsa, per ovvi motivi statistici, là dove si concentra la maggior parte della popolazione umana del Pianeta: l'Oriente Estremo. Le zoonosi nascono storicamente dove più forte è la promiscuità fra gli esseri umani e gli altri animali: i Paesi poveri. La cosiddetta globalizzazione con la accelerazione della velocità dei traffici e l'abbattimento delle storiche barriere ai movimenti dell'uomo, degli animali e delle merci, ne amplifica la diffusione con una velocità che impensabile fino a vent'anni fa.

La predisposizione di protocolli di intervento, le esercitazioni di campo che coinvolgono il personale e le strutture sanitarie, le scorte di strumenti, di presidi anche individuali di protezione e disinfezione, la cultura della diagnosi, misurazione e contenimento delle infezioni nelle popolazioni sono tutte cose che sono patrimonio della cultura, delle competenze e delle capacità operative della Veterinaria di questo Paese!

In un momento come questo, in cui si fa appello a tutte le forze disponibili per fronteggiare l'emergenza, il fatto che queste competenze e capacità operative non vengano utilizzate nel pieno della loro straordinaria potenzialità, pone seri interrogativi sulla politica di questo Paese, ma sia consentito, anche sulla stessa Veterinaria. Un po' meno retorica e un po' più di riflessione sarebbero necessarie da parte di chi ha la responsabilità di dirigere la sanità e la classe veterinaria. Non è tempo di recriminazioni e accuse, ma piuttosto è tempo di affrontare il futuro, non solo quello a medio-lungo termine, ma anche e soprattutto quello più vicino a noi, quello, cioè, delle fasi che seguiranno il picco epidemico.

Ripensiamo il futuro capendo che il futuro è adesso, sperando che chi governa chiami la Veterinaria finalmente ad esprimere fino in fondo, anche sul campo, le sue capacità e competenze per il bene del Paese e del suo popolo. Una cosa è sicura la Veterinaria risponderà con capacità, efficienza ed abnegazione non solo…virtuale, come ha sempre fatto nel corso della storia della sanità dell'Italia.

Giorgio Battelli

Paolo Boni

Rossella Lelli

Gianni Tumino

Vincenzo Caporale

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grazie molto interessante

Grazie, molto interessante