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Disabili dimenticati da quelli della pro-life

di I due Punti
5 minuti

Proverò ad essere breve nel cercare di descrivere la mia esistenza ma non sarà facile, perchè dovrò parlare delle mie due vite: una passata, purtroppo, da normodotato, e una presente e, forse, futura da persona gravemente disabile con la LIS (acronimo di: Locked-in Syndrome).Sono nato a L'Aquila il 31 maggio 1959 da una madre abruzzese e casalinga della provincia di Chieti, e da un padre sempre abruzzese, però della provincia di L'Aquila, la mattina di domenica del 22 ottobre 1995, nella casa dei genitori, ebbi la trombosi alla arteria basilare destra. A causa della suddetta trombosi, sono diventato un disabile gravissimo con la LIS: all'inizio, ero perfettamente immobile e muto, riuscendo a muovere solo la palpebra destra, con cui "parlavo" secondo un codice elementare; poi, col tempo e con molta terapia, rimasi sempre tetraplegico e muto ma, riacquistai il controllo volontario della testa, grazie alla "resurrezione" dei muscoli del collo; la mia terapista occupazionale del Santo Stefano di Porto Potenza Picena, pensò bene, allora, di farmi gestire il computer proprio e soprattutto con la testa, grazie ovviamente ad ausili informatici adatti a me.

Tornato a casa, i miei familiari trovarono un ausilio informatico molto più opportuno e semplice per me e che mi permetteva, e mi permette tuttora, di gestire completamente un PC. Perciò, non posso più parlare ma posso di nuovo scrivere in perfetta autonomia.  All'inizio, che io mi ricordi, l'Associazione Luca Coscioni era solo per la libertà di ricerca scientifica. Tuttavia, non poteva esistere sempre e unicamente per essa, perché i troppi clericali e illiberali presenti nel parlamento in tutti gli schieramenti - Radicali esclusi - non si sono manifestati solo con famigerata Legge 40 del 2004, ma essi si notano ogni giorno su tutti i media, soprattutto in televisione, e senza mai alcun contraddittorio. E poi hanno la faccia tosta - o come il culo? - di gridare allo scandalo se Mina Welby e Beppino Englaro sono ospiti di una nota trasmissione televisiva per ventiquattro minuti, caso peraltro molto raro. Sono inoltre talmente illiberali, nonostante il loro primo partito si chiami Popolo della Libertà, che, per esempio, vogliono che diventi legge per tutti il loro testamento biologico. Noi che la pensiamo diversamente, siamo da essi definiti “Partigiani della morte”. E' alquanto strano, però, che i “Partigiani della vita” non ascoltino Maria Antonietta Farina Coscioni quando, con scioperi della fame, chiede l'approvazione dei Livelli Essenziali di Assistenza e l'aggiornamento del Nomenclatore.

In verità, non si tratta di essere partigiani della vita o della morte, ma semplicemente essere per la libertà di scelta di ogni persona, soprattutto se disabili o malati, qualunque essa sia: vogliono una morte opportuna come Piergiorgio Welby? Che l'abbiano. Vogliono una vita dignitosa? Che l'abbiano. È di nuovo strano che i nostri troppi parlamentari clericali e illiberali si riempiano la bocca della parola ‘Vita’ quando si parla di eutanasia e di testamento biologico, ma facciano finta di non sentire quando chiediamo loro una legge nazionale sulla Vita Indipendente. Tuttavia, secondo me, la Vita Indipendente non è la panacea per noi disabili, poiché per poter accedere agli attuali ed eventuali fondi regionali per essa, sono richiesti dei requisiti che non tutti i disabili hanno, e precisamente: età compresa tra 18 e 64 anni, e capacità di autodeterminazione!

Ecco perché sono molto favorevole alla relazione del professore Alberto Zuliani dal titolo significativo seguente: “Dimensione della disabilità in Italia e proposte per interventi”. Tale relazione, che raccomando soprattutto di leggere ai “Partigiani della vita”, è stata tenuta nello scorso Congresso della Associazione Luca Coscioni, ed è stata subito recepita dalla mozione particolare sulla disabilità e assistenza presentata da Josè De Falco, membro di giunta dall’Associazione Coscioni, che, infatti, al primo punto, individua quale una delle azioni prioritarie: “l’elaborazione di una proposta di legge, dopo una attenta analisi quantitativa e qualitativa del fabbisogno della platea delle popolazione disabile in Italia, volta ad assicurare, attraverso forme assicurative pubbliche e private, un sostegno di lunga durata (long term care, LTC) alla persona disabile sul modello di quanto avviene in Germania e Francia”. Tale mozione particolare è stata così riportata nella mozione generale dello stesso Congresso: “...in particolare la creazione di un'assicurazione per le disabilità di lungo termine...”. Mi auguro che la precedente breve frase, che riassume molto la mozione particolare, significhi che si sta elaborando la proposta di Legge, e spero che si parli di questa elaborazione nel prossimo Congresso della Associazione Luca Coscioni.

Cari parlamentari clericali e illiberali, pensate ancora che noi siamo i “Partigiani della morte”? Se si, allora non mi resta che dirvi come quell'altro povero Cristo: “Padre, perdonali perché essi non sanno quello che dicono.”!

Severino Mingroni

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Commenti

C'è chi si diletta con la filosofia e chi deve vivere dure realtà, io stò con i secondi
....io resto sempre del parere che un uomo fino all'ultimo respiro deve poter decidere della propria vita...della propria dignita'...
Misero spot eutanasico....che tristezza.
ECCO COME I "PRO-LIFE" TRATTANO VERAMENTE I MALATI: di Davide Petrillo, tratto da [Tracce.it] 23 luglio 2010 Antonio Socci Caterina. Diario di un padre nella tempesta Rizzoli pp. 211 - € 16,50 Antonio Socci in un libro racconta la vicenda di sua figlia, entrata in coma dopo un arresto cardiaco. E il cambiamento suo e di un intero popolo, che l'ha accompagnato nella domanda. Fino a riconoscere che «ogni mattina è un miracolo» I diritti d’autore del libro saranno devoluti al Meeting Point International gestito da Rose a Kampala, ai ragazzi delle periferie di Lima, alle missioni in Africa sostenute da Radio Maria e alle ragazze cristiane del Pakistan. Si può muovere il mondo stando inchiodati in un letto d’ospedale? Si possono toccare i cuori di decine, centinaia di persone - fino a dar voce a un popolo intero che riconosce di cosa è fatta la vita e per questo offre e domanda - senza poter neppure alzare un dito o dire una parola? Si può generare qualcosa - qualsiasi cosa - partendo da male e dolore, un dolore così acuto da sembrare assurdo? Per l’uomo no, è impossibile. Eppure accade. Intorno a noi. Vicino a noi. Nella vita di persone che conosciamo bene, non fosse altro per quello che vediamo o leggiamo di loro ogni giorno, da anni. Come Antonio Socci, giornalista e scrittore, che ha appena pubblicato per Rizzoli un libro da leggere, assolutamente. Si intitola Caterina. Diario di un padre nella tempesta, e racconta una vicenda che molti di voi forse conoscono già, almeno nell’abbrivio iniziale. Ma che negli ultimi tempi ha preso un corso impensabile. Caterina è la figlia di Antonio. Ha 24 anni, occhi e sorriso che ti scavano dentro anche solo a vederli dalla foto di copertina e una vita piena e lieta, fino a quel 12 settembre di un anno fa. Serata tra amici, in un appartamento di studenti. La laurea è questione di giorni: architettura. Fai presto a immaginarti la scena. Sorrisi. Battute. Bicchieri. Cuori allegri. Poi il suo, di cuore, si ferma. Di colpo. Smette di battere per un’ora e mezza. Coma. Quando a casa Socci arriva la notizia, Antonio caccia un urlo. Tre parole d’un fiato solo: «Gesùmionooooo!!!». Ecco, in fondo il libro è il racconto di come quel «no», un po’ alla volta, è diventato un «sì». Misterioso e doloroso, perché detto davanti a un abisso, ma un «sì». Un abbraccio. Qualcosa che genera. Anzi, che aiuta Dio a generare cose grandi seguendo le Sue strade, impensabili. Fino all’impossibile, appunto. Fino al miracolo. E la vicenda di Caterina è un miracolo. «Continuo, ogni mattina». Da quella vita strappata al nulla, perché novanta minuti senza battiti e ossigeno sono qualcosa da cui, di solito, non si torna. Agli occhi, riaperti quattro giorni dopo («quanto sembra normale e ovvio aprire gli occhi: invece è un avvenimento»). Poi, le prime lacrime. La prima risposta (una sillaba sola: «Ah...»). La ripresa «per i capelli», almeno tre o quattro volte in momenti in cui sembrava dovesse ricadere nel vuoto. Settimane di attesa e paure. Di momenti in cui «vederla così, crocifissa e indifesa, la fa amare ancora di più: si cerca di allontanare il pensiero del peggio, del futuro, ma inevitabilmente riaffiora». Di preghiere vissute accanto ad Alessandra, moglie e roccia di casa, gli altri figli, gli amici. E a un popolo che conosce Antonio per il suo lavoro di giornalista e scrittore appassionato di Cristo. E si mobilita. Cominciano ad arrivare lettere. Email. Telefonate. Racconti di voti e rosari, offerte e pellegrinaggi. Fatti impensabili. Come i miglioramenti di Caterina: lievi, quasi impercettibili, ma continui. E come il regalo di una serata di gennaio che Antonio, nel suo diario, annota così: «Uscendo dalla chiesa entro nella stanza di Caterina e mi trovo davanti a uno spettacolo sorprendente: Caterina a letto e Alessandra al suo fianco che stanno ridendo a crepapelle! E la risata di Caterina è proprio la sua, brillante, contagiosa. Il suo sguardo è luminoso! Cosa è successo? Da giorni provavamo a leggerle qualche pagina. Avevamo diversi libri. Alessandra quel pomeriggio stava leggendo a voce alta Il giovane Holden. Arrivata a un punto in cui il romanzo ha un paio di battute, Caterina è scoppiata a ridere di colpo». Una svolta. «In qualche modo possiamo dire: è tornata». Sfogli, segui i passi di quei giorni, e di quelli che arrivano dopo, e torni sempre lì. Un miracolo. «L’amore più forte della morte», come Antonio aveva scoperto tanti anni prima, all’inizio di una storia di cui riprende il filo anche nel libro, perché senza sarebbe impossibile capire quello che accade ora. In quelle pagine c’è Siena, la sua terra. L’incontro con Cl. Uno striscione appeso dagli studenti del movimento davanti a Giovanni Paolo II, con la frase di santa Caterina che toccò anche il Papa: «Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutta Italia». E facce e figure di cui un po’ alla volta, nel tempo, si capisce la portata. Don Giussani su tutti, «padre e maestro all’origine di questa storia». O Andrea Aziani, sbarcato lì con altri amici dalla Bassa milanese perché innamorato di Cristo e del desiderio che il mondo - tutto il mondo - lo incontrasse (morirà anni dopo, in missione in Perù, dove in fondo era andato a ripetere a tutti ciò che lo aveva preso per sempre: «El amor es más fuerte que la muerte»). Fino a don Julián Carrón e a quella telefonata poche ore dopo il dramma: «Io sono con te. E prego...». Semi. Da cui il fiore di Caterina - e della sua fede - è sbocciato quasi senza che il padre se ne rendesse conto. C’è una pagina bellissima in cui Antonio riprende un articolo scritto il giorno dopo averla accompagnata in università per la prima volta, «e pensavo “ma quando e come e perché sei cresciuta così? Eri piccola ieri e stamani ti sei alzata e sei una principessa... neanche mi sono accorto che diventavi grande, bestia che sono». E ce ne sono altre, altrettanto dense, in cui Socci scopre «il mistero di una figlia» seguendo il filo del racconto degli amici e del fidanzato: il carattere, le passioni, la lettura, quella voce limpida e intensa che intona Ojos de cielo o Voi ch’amate lo Criatore, facendo affiorare una passione per Cristo che attraverso di lei ha fatto riscoprire anche a suo padre la sua storia più vera, le radici. «Lei, studentessa universitaria a Firenze, silenziosamente custodiva il mio posto, tra i figli di don Giussani, dove sapeva che sarei tornato e dove lui stesso mi aspettava». È questo che commuove, del libro. Anche questo. La fede di Antonio - e dei suoi. Ciò che gli sta permettendo di andare al fondo di tutto. A lui, e a chi guarda a quel letto, fosse anche da lontano. Una fede potente, fatta di certezze che avranno affollato chissà quante volte i suoi articoli («nulla è impossibile a Dio»; «non temere, Io sono con te»; «tutto è possibile a chi crede»...) e che anche qui tornano di continuo, ma nuove: «Tutte queste cose che stanno nella Scrittura, io in questi mesi le ho viste. Più che leggerle e saperle, le ho toccate con mano». Come tocca con mano la vicinanza - potente e misteriosa - di sconosciuti che offrono abbracci e preghiere e a volte persino le loro sofferenze (ce ne sono tante, di testimonianze così: e mettono i brividi) per quella ragazza a cui non li lega nulla, se non Cristo. Lì capisci che la vita è diversa da quella che tante volte ci raccontano. Che esiste ancora un popolo che vive di Lui e a Lui si affida. Che osa ancora consegnarsi a Gesù e alla Madonna - l’altra vera protagonista di queste pagine - perché, in fondo, sa che aveva ragione don Giussani quando disse ad Antonio, sotto tiro per una trasmissione tv in cui osava parlare di fede: «Sii certo di quello che dici, perché è tutto vero». E capisci di più che davvero il protagonista della storia è chi mendica. La nostra forza sta tutta lì: nel domandare. A pensarci adesso mi sembra impossibile, ma non conosco ancora Socci di persona. Un caffè veloce anni fa, in un bar sotto la sede del Giornale, ma poi ci ho parlato soltanto qualche volta, al telefono. Dio solo sa quanto spero di abbracciarlo presto: lui, Caterina e Alessandra. E di poterli ringraziare. Perché, arrivato in fondo al libro, ti restano stampate nel cuore due immagini, nitide. Caterina che ride e piange insieme, e un passo alla volta sta tornando alla vita e prima o poi tornerà a cantare. E Antonio, che immagini proprio come te lo racconta chi l’ha appena incontrato: un uomo in battaglia, grato di tutto e sorpreso da tutto. Come dovremmo essere sempre se fossimo semplici. Perché «è tutto vero».
Misero Essere.........Lo spot c'è già lo puoi vedere qui http://www.youtube.com/watch?v=IxIk_eQeAMw non c'era bisogno di questo articolo...
Pietro l'articolo parla di disabili gravi e permanenti e di parlamentari che fanno qualcosa per aiutarli ed altri che non fanno niente .............no posso dirti altro che ho un grande rispetto per la storia di Socci e di sua figlia, rispetto che manca a qualcuno che commenta su questo sito
Salvatore Crisafulli EROE CONTEMPORANEO!
rispetto anche lui, a differenza TUA
miseri e miserrimi ...........c'è da riflettere
Se una persona non può togliersi la vita, non è quella persona che decide della propria vita. E' chi lo fa morire che ne decide: se lui è d'accordo, il malato muore, se lui non è d'accordo, il malato non muore. E sempre ammesso che il medico abbia azzeccato la diagnosi e che abbia davvero prospettato al paziente tutte le cure possibili. Se questa è libertà, annamo bbene. Quanto alla lettera del Sig.Mingroni, condivido in pieno la battaglia per l'aggiornamento del Nomenclatore. Il resto, sono affermazioni comprensibili in chi vive una condizione difficile, ma per onor del vero sono in grna parte giudizi personali o riferiscono circostanze prive di fondamento. Ne contesto solo una: quella sul divieto di esprimenti sulle staminali embrionali posto dalla Legge40. Faccio presente che con le staminali embrionali si è ben lungi da raggiungere risultati terapeutici, mentre con le staminali non ricavate da embrioni già si curano diverse malattie, e le ragioni sono puramente scientifiche. Si è al punto che in California, dove lo Stato finanzia le ricerche sulle staminali embrionali, centinaia di scienziati e ricercatori hanno sottoscritto un appello per togliere quei finanziamenti, i quali drenano risorse dalla ricerca sulle staminali "adulte" , che garantiscono cure e guarigioni, e li convogliano verso le staminali embrionali che, dopo decenni di studi in tutto il mondo, ancora non producono risultati veri. Mi permetto di mandare un abbraccio a Mingroni, e di chiedergli di incontrare qualcuno che davvero si impegna per la vita. Vedrà che vivere come posso è meglio di morire come voglio.
Massimo, è sempre un piacere leggerti, anche se le nostre posizioni sono inconciliabili.............