Sì è concluso con una condanna di un anno, due mesi e due giorni di reclusione il processo a carico di Gianluigi Di Bonaventura, ( gruppo Campetto Occupato) ritenuto responsabile di atti persecutori, minacce e molestie ai danni del sindaco di Giulianova, Jwan Costantini, difeso in giudizio dall’avvocato Gianni Falconi. La sentenza, firmata dal giudice Francesco Ferretti, ricostruisce una vicenda durata oltre tre anni, segnata da insulti, minacce e un uso sistematico dei social come strumento di pressione verso una figura istituzionale.
Tutto ruota attorno alla pagina Facebook “Costantini fa cose”, utilizzata, secondo quanto emerso in aula, per pubblicare fotomontaggi e contenuti denigratori: accuse di uso di cocaina, insinuazioni su favoritismi e corruzione, attacchi alla sfera familiare e anche alla memoria del nonno del primo cittadino. La diffusione di quei post, amplificata da decine di condivisioni su altre pagine, aveva contribuito a un clima di costante esposizione offensiva nei confronti del sindaco, tanto da convincere la Procura a contestare non una semplice diffamazione, ma un vero e proprio quadro persecutorio.
La campagna online, però, non era rimasta confinata al virtuale. Il Tribunale ha ritenuto provato che Di Bonaventura avesse affrontato il sindaco in via Garibaldi, il 14 luglio 2022, rivolgendogli frasi pesanti come “la pagherai, stai attento”, con un atteggiamento definito aggressivo e intimidatorio. Poche settimane dopo, durante la visita del ministro Matteo Salvini, l’imputato avrebbe urlato insulti e la frase “a testa in giù Costantini” dal trenino turistico che scorre lungo il lungomare, un gesto considerato particolarmente grave anche per il contesto pubblico e affollato. Il giorno seguente, un trenino giocattolo era stato lasciato davanti alla casa del sindaco.
Nella ricostruzione del giudice Ferretti, emerge un quadro definito “abituale e vessatorio”, composto dalla somma di comportamenti online e dal vivo che, nel tempo, hanno inciso profondamente sulla vita personale e istituzionale della vittima. Gli elementi raccolti hanno così portato il Tribunale a riconoscere la piena sussistenza del reato di stalking, aggravato dalla continuità e dalla portata delle condotte. È stata inoltre esclusa qualsiasi possibilità di attenuanti o benefici, anche alla luce dei precedenti dell’imputato.
La sentenza assume particolare rilievo perché fotografa con chiarezza un fenomeno sempre più attuale: la trasformazione di comportamenti online in vere e proprie condotte persecutorie, capaci di incidere sulla vita reale della vittima e sulla sua sicurezza. Per questo, il provvedimento è destinato a costituire un riferimento giurisprudenziale importante, soprattutto in ambito politico e istituzionale, dove la linea tra critica, satira e persecuzione viene spesso messa alla prova dal linguaggio dei social.
N.S.
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