Sono strani giorni, questi. Viviamo un’epoca che, per molti aspetti, legittima lo straniante: quasi non ci facessero più effetto parole come guerra, immigrazione, calamità naturali. In ogni momento, immagini e notizie ci raccontano l’inenarrabile fino alla progressiva narcotizzazione, e tutto ciò che ne consegue. Invece, le coscienze, oggi più che mai, devono rimanere all’erta. Ascoltare il continuo, dirompente “l’avete fatto voi” di Picasso davanti allo strazio di Guernica e dinanzi agli ufficiali che chiedevano chi fosse l’autore del quadro. Yo Lo Vi.
Visioni di Guerra, mostra sui generis in scena attualmente a Campobasso, ( palazzo Gil via Milano) nasce dall’idea di raccontare questo dolore attraverso lo sguardo di tre grandi artisti: Pieter Paul Rubens, Francisco Goya e Domenico Fratianni. Rubens è presente con una tela appartenente a una collezione privata e per la prima volta esposta in pubblico dopo la recente ascrizione all’autore da parte del Curatore, Floriano De Santi, docente, critico d’arte e consigliere di Stato. Nel suo ruolo di pittore di corte e diplomatico, Rubens, con la sua arte sensuale e fastosa, cercò di conciliare gli animi dei sovrani di Spagna e Inghilterra e, di fatto, evitò una guerra.
Esattamente come fa la sua Venere, bionda e conturbante dea dell’amore che, nell’opera Venere cerca di trattenere Marte, Le conseguenze della guerra, realizzata fra il 1629 e il 1630, usa le sue braccia delicate e il potere della seduzione per trattenere un dio fosco e sanguinario, armato fino ai denti: “il quadro di Rubens è fortemente etico: un messaggio di pace da parte di un autore che ama la vita e le sue bellezze - afferma De Santi - ma nasconde qualcosa di tenebroso.”
Con un salto temporale, Goya ci introduce allo scempio della cosiddetta guerra peninsulare: fra il 1810 e il 1820 disegna lo strazio del conflitto fra Francia e Spagna e le atrocità subìte dalla popolazione spagnola. I volti sono distorti dal terrore, dal dolore, dalla paura. Le aberrazioni di cui sono capaci gli uomini sono tratteggiate con spietatezza: nessuno sconto, nessuna edulcorazione, nessuna pace. Guardiamo l’atrocità e si può soltanto imparare la lezione più dura, la più fondamentale: non ledere e, nei corsi e ricorsi storici, cercare di recuperare una sana memoria per evitare di incappare negli stessi errori, per quanto possa essere evidentemente estraneo alla natura umana. Le quaranta incisioni di Goya sono talmente attuali da ricondurci a certe atmosfere viste e vissute in graphic novels e manga, diritte e precise come un pugno nello stomaco; appartengono al ciclo Desastres de la guerra e sono concesse in prestito gratuito dal Museo Universitario di Chieti, diretto dal Prof. Luigi Capasso.
L’itinerario della mostra espone, l’uno a sinistra e l’altro di fronte, il dialogo ideale con le opere del Maestro Domenico Fratianni, insigne rappresentante dell’arte incisoria in Italia, che all’incisione ha praticamente dato i natali con le innovazioni di Barocci fra il Cinquecento e il Seicento. Si torna poi nella nostra storia, funestata da cambiamenti epocali di cui spesso non ci rendiamo neppure conto e che un giorno magari saranno condensati in poche righe su un libro di studio. La voce di Fratianni è per gli ultimi, i dimenticati, gli emarginati. Per quelli che rischiano la vita nella speranza di trovarne una migliore al di là del mare. La sua compassione descrive, con pochi tratti sapienti, l’angoscia e il senso di sradicamento di chi perde la propria casa: tema noto agli abruzzesi, per cui la ferita del 6 aprile 2009 è ancora aperta e stenta a rimarginarsi.
La mostra (Campobasso, palazzo Gil via Milano) chiuderà i battenti il 14 novembre con l’ultimo incontro di “Parole di Pace”: una serie di eventi nati dall’esigenza di Yo Lo Vi di raccontare, ma anche di riflettere, di trovare soluzioni, in una parola, di parlare. Le parole saranno quelle di Adelchi Battista e Pier Paolo Giannubilo, due scrittori a confronto sul tema della guerra. Perché il dialogo è l’unica soluzione e le parole, quelle buone e vere, salvano.
Barbara Bizzarri
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