Salta al contenuto principale

Vi racconto una storia. Ucraina- Isola del Gran Sasso tremila chilometri per abbracciare il figlio

di Giancarlo Falconi
4 minuti

Chiudete gli occhi. Trentadue ore di viaggio per 2.819,1 km passando per la Em40/06. Charkiv Isola del Gran Sasso. La disperazione di Ruslan per rivedere sua moglie e suo figlio. Ruslan è un volontario militare, si occupa tra l’altro di sistemare le barriere di cemento a protezione delle città liberate. Era un costruttore, un imprenditore e ora tutti i suoi dipendenti sono al suo fianco a combattere in nome di una libertà e contro l’invasore russo. Fratelli separati e con la guerra che crea oltre alle arme di distruzione di massa anche quelle che minano psicologicamente le persone. Si crea odio, si crea separazione generazionale, si crea paura con i carri armati che attraversano le stradine e sparano a destra e sinistra; le bombe che diventano serpenti a sonagli con un eco che ti insegue come un’ombra per tutto il giorno e la notte. Ruslan ha un permesso di “stampo” internazionale perche suo figlio è affetto dallo spettro dell’autismo, perché suo figlio ha una disabilità. Si muove in continuazione, un normale iperattivismo che potrebbe essere replicato a tanti altri bambini rimasti isolati in alcuni centri in Ucraina che soffrono di traumi psicologici derivati dalla paura della Guerra, da quei bombardamenti che hanno creato disfunzioni psicologiche in anziani e bambini. Ruslan ci racconta la guerra con fierezza, con il viso stanco, cercando continuamente lo sguardo della moglie e del figlio. Ci parla della disperazione. Ringrazia il sindaco di Isola del Gran Sasso, ringrazia Simona, guarda con ammirazione Sergio. Personaggi d’autore che aleggiano senza protagonismi. Il dolore, il cambiamento improvviso tra una vita normale anche agiata, alla lotta per mangiare, per nutrirsi, per non morire.

 I Russi staccano il gas e la luce? Loro arrivano e provano a fare il contrario. Ricostruire dove tutto è distrutto. Una ricerca di normalità e una immensa gratitudine alla comunità di Isola del Gran Sasso.Il Primo Cittadino Andrea Ianni, il vice sindaco Francesca Melozzi, Sergio D’Ascenzo Presidente dell’associazione Kerygma, Simona Fernandez, presidente dell’Associazione Salam. Sergio racconta il bisogno di tutto dell’Ucraina e del suo andare e tornare con la sensazione che anche i suoi tir siano una goccia nel mare. Simona guarda Sergio e racconta del progetto di aiuti e cooperazione internazionale finanziato dalla Regione Puglia, scritto con D’Ascenzo e che servirà a portare aiuti sanitari agli ospedali. Immaginate i bambini oncologici, le ferite senza antibiotici o filo da sutura, immaginate chi si ammala e non può essere curato e poi, la disperazione dei genitori. Immaginate di non potervi lavare per settimane, immaginate le croste; immaginate l’odore che diventa una piaga a ogni movimento; immaginate di non mangiare per giorni; immaginate Sergio che arri va con uno dei suoi camion umanitari carichi di pizze, di pane, di cibo in scatola e prima di iniziare la distribuzione attiva il cronometro del suo cellulare e inizia a percorre la fila delle persone con passo veloce.

Dopo 11 minuti con la gente disposta a quattro, rinuncia e torna ad aprire il cassone che ricorda una enorme vecchia dispensa della nonna. L’immagine più forte? Quel ragazzo che continuava a mangiare pizza fino a stare male perchè non sapeva quando avrebbe potuto rimangiare. Poi, prende la parola, una insegnante Ucraina, una madre, Neilla, che aveva pianto disperata la morte di suo figlio, poliziotto. La notizia è arrivata improvvisa a Isola. Suo figlio è prigioniero nelle carceri russe ma è vivo. Lo racconta con una maschera di vera e profonda angoscia, il resto e “l’attonitamento” dell’anima. Quello stato che ti rende inerme, immobile, inscalfibile. La guerra non è finita e tutti a casa è il ricordo di un vecchio film. L’immagine del popolo ucraino, oltre 1 milione di persone al confine rumeno, è il simbolo di chi non vuole andare via. Il piccolo di Ruslan, guarda il padre, non lascia la madre, vuole stare con loro. Si chiama famiglia, l’unica arma degli uomini contro la guerra. La fede dei buoni.

Commenta

CAPTCHA

Commenti

I camionisti fanno 150.000 km anno per riportare la pagnotta ai figli. La gente si commuove per questo?

@Lino. Ma che razza di commento. Qui si parla di un bambino che ha sentito bombe cadergli addosso. Hanno avuto la casa sventrata, hanno visto morti e sentito dolore.
Il camionista che fa 150.000 km - con tutto il rispetto per il suo lavoro ed il suo impegno per la famiglia - non ha visto e provato le atrocità di una guerra.

Quello che fanno i camionisti come lavoro l'hanno scelto loro e nessuno gli costringe... non gli è stato imposto da una guerra...La situazione è diversa