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La mostra: HABITAT ZEROUNO

di Maria Cristina Marroni
6 minuti

L’arte è assolutamente adescamento: quando innamora esclude la critica e lo scetticismo. I grandi capolavori stordiscono e sono la droga dello spirito.
L’arte è ormai infraconcettuale, “non si limita più solamente a utilizzare la concatenazione segno-significato-significante, a provarne elasticità e fratture, sempre vincolata a un punto di vista umanocentrico, ma accede alla diversità essenziale dei linguaggi sovrapposti, cerca di decriptare la matrice che ricompone il senso dei messaggi telematici”.
Gli artisti sono costretti, spesso loro malgrado, a trascendere l’umano per confondersi con le dinamiche del cyberspazio.
Di fronte alla complessità dell’ipertesto il lettore è costretto a continue ipotesi interpretative, a incessanti cambi di strategia, come avviene di fronte alle labirintiche trame di Borges, o di fronte a un’opera come “La nona ora” di Maurizio Cattelan, in cui è evidente l’irriducibile polisemia.

Tuttavia i prodotti artistici permettono di intercettare le tracce di un territorio, del quale si conservano insite le peculiarità, nonostante la complessità della sovrapposizione semantica, su cui si basa la cultura contemporanea.
La mostra  collettiva Habitat 01, in corso fino al 1 dicembre presso L’ARCA, a cura del Prof. Umberto Palestini, intende richiamare l’attenzione del pubblico su dieci artisti teramani, cresciuti e formatisi in un ambiente periferico senza scadere nella trappola del localismo, ma che esprimono del proprio luogo d’origine, su basi differenti, un contesto unificato.

Nell’ARCA spicca il lucore delle sale espositive, dove si avvicendano le opere di Maurizio Anselmi, Marco Appicciafuoco, Fausto Cheng, Antonella Cinelli, Silvestro Cutuli, Paolo Di Giosia, Cleto Di Giustino, Giampiero Marcocci, Marino Melarangelo e Fabrizio Sclocchini.
Maurizio Anselmi propone il ciclo fotografico “Le storie degli altri” in cui i soggetti rappresentati, quasi sempre con i volti coperti, su set cinematografici o teatrali interpretano l’altro da sé. Privi di identità, ne possiedono in realtà numerose, quelle dei molti occhi che li scrutano. I piedi nudi con le scarpe gettate lì appresso, le bottiglie vuote, come la siringa appena usata, indicano un prezzo molto alto per aver vissuto troppo a lungo dietro a un sogno funesto.

Le donne di Antonella Cinelli si lasciano ammirare attraverso una nudità appena accennata. Alla casta nudità si sostituisce un nudo sensuale carico di erotismo. Nel dipinto “Interno notte in rosso” la calza rossa che si solleva lungo la gamba destra, in opposizione all’altra gamba completamente nuda, in cui pure risalta lo smalto rosso del piede, enfatizza l’attrazione e trasfigura liricamente il fascino muliebre. L’oggetto è presentato come elemento essenziale del quadro, non come  qualcosa di esornativo. “L’attraction vient de Dieu” (Fourier).

A queste nudità cariche di desiderio, si contrappongono i nudi di Paolo Di Giosia, così crudi ed essenziali. Nudità reale, quella di Di Giosia, ma al tempo stesso ideale, in quanto simbolo di un’innocenza rubata. I toni in chiaroscuro celano, nell’immediatezza dell’immagine posata, il tenore eletto del disegno.
Nei pastelli di Marino Melarangelo la presenza fisica è imprescindibile da un potenziale astratto: nelle sfumature monocromatiche il bianco diventa simbolo di purezza, chiarore accecante, pazzia; il nero del dubbio, dell’incertezza, del dilemma. Corpi senza volti definiti, spogliati dello spirito, che cercano di rintracciare in strani oggetti, per rianimarsi e recuperare il colore. Le immagini sono cariche di valenze poetiche e metafisiche. L’effetto è sfocato e perturbante.

Nelle foto di Fabrizio Sclocchini si ritrova la poesia dei paesaggi di Luigi Ghirri. Nella serie “Bassa stagione” l’artista instaura con il paesaggio marino un dialogo alla ricerca della propria essenza. Nella solitudine l’uomo è più uomo. Le immagini sono sostenute da un robusto impianto concettuale. “Più che un paesaggismo accademico e tradizionale quello che ne risulta può quasi essere considerato un comportamentismo ambientale, un’azione performativa nella quale l’immagine funziona come sintesi di un processo di relazione che viene riproposto virtualmente al fruitore”. La scommessa vinta da Sclocchini è quella di aver intuito che ci sono “mondi di racconto in ogni punto dello spazio, apparenze che cambiano ad ogni apertura d'occhi, disorientamenti infiniti che richiedono sempre nuovi racconti”.

Nell’interessante installazione “Memory”, Fausto Cheng pone su sette piedistalli libri in terracotta brunita legati da corde, che alludono a parole segrete custodite in silenzio, e in corrispondenza, sulla parete, dei volti che sembrano richiamare la preistoria africana, simboli di un’umanità primigenia.
Marco Appicciafuoco usa magistralmente il grès in combinazione con altri materiali, come il vetro, i metalli o la luce.  In “Light Flower” alla leggerezza del fiore si contrappone un cuore d’acciaio.

Silvestro Cutuli si apre alle nuove tecnologie, “contribuendo alla mappatura creativa dell’evoluzione di un insediamento virtuale libero e disarticolato”. Il ciclo “Sul Bosone di Higgs” rappresenta la materia fluttuante, emblema della società liquida del nostro presente.
Nelle sue fotografie Cleto Di Giustino fruisce di particolari (pezzi di territorio, superfici isolate) che diventano l’essenza della visione. L’artista interviene sulla temporalità, rendendo le sue folgorazioni immagini del “tempo perduto”.

Scompare in Giampiero Marcocci l’esaltazione cartolinesca dei luoghi consueti: le sue foto rappresentano una visione onirica, dove l’inatteso diventa possibile. Come avviene negli autoritratti “Prove di volo”, in cui l’autore carpisce l’infinito per nasconderlo dentro una sfera di cristallo, posta su un manto di candida neve. Ne deriva una sorta di romanzo visivo, in cui la tecnologia aiuta a sfondare le possibilità del reale e a innestare relazioni interpersonali che si realizzano nello spazio espositivo.

“L’arte è salute” dice Yves Klein a Georges Mathieu durante un’esibizione pubblica. Gli credo, perché avere la possibilità di fare una passeggiata e trovare una mostra interessante nel posto giusto è salutare.


 

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Commenti

Piccolo capolavoro di scrittura.
Bella davvero la mostra. Da vedere e da ripetere a Teramo altre iniziative similari, magari la prossima volta con artisti teramani emergenti, non ancora affermatisi.