C’è un Italia che non potremo mai capire ed accettare: è quella drammaticamente reale in cui, secondo la CGIA di Mestre, le amministrazioni pubbliche, non raggiungendo lo standard di efficienza tedesco, ci fanno sprecare 75 miliardi di euro l’anno.
E’ quell’Italia presa recentemente di mira dalla Corte dei Conti il cui Presidente, pronunciandosi sulle performance della P.A., afferma che il vero problema è il deficit di efficienza dovuto alla mancanza di un sistema serio e reale di incentivi e sanzioni.
E’ quell’Italia che per ogni punto percentuale di inefficienza della Pubblica Amministrazione paga uno 0,9% di PIL, con tutto ciò che ne consegue in termini di mancata produzione di reddito e di incremento dell’ occupazione.
Ma è anche l’Italia delle mille provincie, in cui il Sindaco di Teramo, mobilitando i colleghi per incontrare a Roma il Ministro Patroni Griffi, dichiara che ci sono “Mille posti di lavoro a rischio con la cancellazione di Teramo”; in cui la Provincia di Teramo, prossima a fondersi con quella de L’Aquila, bandisce un concorso per l’assunzione a tempo determinato di un dirigente tecnico; in cui l’Ordine degli Ingegneri e quello degli Architetti entrano in conflitto, rivendicando per i propri iscritti il diritto di andare a ricoprire quel posto vacante.
E' l'Italia in cui il termine "pubblico" è sinonimo "di nessuno" e, quindi, di "mio".
In tutto questo c’è qualcosa che urta e che stona: come può una classe dirigente che ha fatto un uso improprio e distorto delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, del sistema delle autonomie locali, svilendone la funzione e trasformandole in centri di spesa spesso improduttiva e in fabbriche di posti di lavoro ad uso di parenti e clientes, ergersi oggi a garante della sopravvivenza di un sistema, pubblico nella forma ma molto privato nella sostanza, economicamente insostenibile ed eticamente inaccettabile? Di quali scelte, di quali programmi di sviluppo si è resa protagonista per far sì che Teramo e provincia potessero contare di più nei tavoli della concertazione e del confronto istituzionale? E chi l'ha espressa questa classe dirigente, sempre più piatta e uguale a se stessa?
E' giunto forse il momento di fare veramente sul serio?
La Redazione de I Due Punti
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