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1994: Anil Chamar va alle elementari

di Marco Moschetta
14 minuti

Sto qui al mio posto, in fondo all’aula. Fa niente se non ho un vero banchetto dove sedermi.
Sto qui al mio posto, non do fastidio e ascolto.
Parlo solo se mi interrogano, ma ascolto.
E scrivo, e prendo appunti. Come mi ha detto il mio papà.

A soli sette anni, il piccolo Anil sapeva di essere a metà strada.
Era fortunato, perché aveva un papà e una mamma che non lo avevano abbandonato.
Ma doveva stare attento.
Era fortunato, perché il papà gli aveva regalato una maglietta pulita, bianca, con una grande scritta verde “N I K E”, e dei pantaloncini blu di tela un po’ larghi, ma legati con una cordicella, che gli stavano proprio bene.
Era un privilegiato, rispetto ai suoi amici “Dada” (Daiwik), “Mamo” (Mahesh) e “Vava” Vairaj. Loro erano cresciuti da soli, senza mai aver visto una mamma e un papà, senza mai aver vissuto in una capanna con un fornellino e delle stuoie, le immagini sacre di Shiva, le candeline d’incenso per l’anno nuovo e il Diwali. Senza nessuno che li aspettava la sera, dopo una giornata passata a scorazzare in giro, a cercare qualche lavoretto, ad elemosinare qualcosa da mangiare.
Vivevano liberi, Dada, Mamo, Vava e gli altri. A volte era un vantaggio, a volte si divertivano di più di lui, e potevano portarsi il loro cagnolino a dormire o potevano passare la notte a fantasticare arrampicati in cima ad un albero a guardare le stelle.
Lui lo sapeva però. Mamo glielo aveva detto chiaro un giorno – ti prendiamo in giro, ma vorremmo avere una famiglia vera, come la tua.

Era fortunato, questo pensava Anil. C’era la lezione di matematica, e anche se aveva saltato completamente la prima classe, ed era già insieme a bambini di seconda, lui si annoiava alla lezione di matematica.

Fissava i suoi sandaletti rossi con la chiusura a strap e pensava
è vero. Sono proprio fortunato. Ho tante cose belle e ho una mamma e un papà che mi vogliono bene. E’ vero, Mamo ha ragione. A volte mi sembra che vivano per me, mamma e papà. Anche adesso che è arrivata la sorellina

La lezione di matematica, però, non la sopportava proprio.

Il nuovo maestro, poi, era duro pedante e antipatico. E diceva delle cose ovvie, e sembrava stesse rivelando chissà quali segreti.

PROPRIETÀ COMMUTATIVA DELLA MOLTIPLICAZIONE E DELLA DIVISIONE
Aveva scritto sulla lavagna.

si può essere così scemi?”
Pensava Anil.
se divido con Mamo la mia ciambella, che poi la divide con Sahira, è ovvio che a lui tocca un quarto di ciambella”
Lasciò vagare la sua fantasia. Fuori dalla finestra un aereo a diecimila metri di quota baluginava metallico e lasciava una lunga striscia bianca, che piano si piegava alle correnti.
Sognava di partire, Anil, e di volare anche lui. Il maestro continuava a formulare operazioni matematiche, e la sua piccola mente, in background, produceva le risposte. Anil  fantasticava, si rilassava, mentre il suo cervellino generava numeri alla velocità della luce. Numeri che lui vedeva materializzati in forme solide, arrotondate e dai colori vivaci.
 
= = =
Hey, tu, Dalit, in fondo! Dico a te! Piccolo e nero, anche se ti sei dato una lavata alla fonte, stamattina, resti piccolo e nero!”
Tutta la classe si mise a ridere e si girò verso di lui.
“Vieni qua, Dalit, subito! Alla lavagna
!”
Si alzò in piedi con le gambe che gli formicolavano. Attraversò la corsia creata tra i banchi in mezzo alla classe e si ritrovò davanti alla lavagna piena di segni e numeri.

Visto che la lezione non ti interessa, scrivi sulla lavagna”
Sir Arjun iniziò a scandire bene le cifre, con lentezza.
“ 4 x 12 x 7 : 3”

“Perché non scrivi, Dalit?”

“Fa 112”

Disse Anil, con un filo di voce.

Sir Arjun aggrottò le ciglia e tirò indietro il capo.
Scrivi! “3 : 2 x 25 x 4”

“150, Sir”

Ti ho detto di scrivere, Dalit !
Gli urlò il maestro, visibilmente contrariato.

Anil si avvicinò alla lavagna, prese un gessetto e cominciò a scrivere le cifre dell’ultima domanda del maestro.

NO! NO!
Urlò quello.
SCRIVI “44 x 8 : 4 x 6”
Anil cancellò con il palmo della mano le cifre che aveva cominciato a scrivere, e di getto, grattando il gessetto veloce sulla lavagna, scrisse:
44 x 8 : 4 x 6 = 528

“ooohhh !!!”
Un mormorio si levò tra i compagni.

Sir Arjun ammutolì.
Anil ritirò il braccio sinistro vicino al corpo, attese ulteriori istruzioni, che tardavano. Depose il gessetto sul piano sotto la lavagna.
Stette fermo e muto, guardando senza timore e senza espressione Sir Arjun.

Passarono dei secondi.

Ad un certo punto Sir Arjun scese dalla cattedra, fece qualche passo verso di lui e lo colpì con un ceffone in viso.

Credi di fare il furbo con me, eh, piccolo scarafaggio?”

“Visto che hai già studiato a memoria questa lezione, ti mando a fare qualcosa di utile!”

“il cortile è sporco, prendi la scopa nell’armadietto e vai a pulire”

“Sei un Dalit, no? Questo è il tuo mestiere!
VAI!
Pulisci tutto il cortile, e torna su solo quando sarà tutto lucido e a specchio !


I suoi compagni si divisero. Metà di loro, specialmente i maschi ben vestiti delle prime file, si misero a ridere e a sghignazzare rumorosamente.

Non ha mai niente da fare nella sua capanna, Sir, per questo impara le lezioni a memoria” – disse uno di loro.

“Non ho nemmeno il libro” – pensò Anil. “in fondo, meglio così. Vado a fare un po’ di movimento, poi torno dopo la ricreazione. C’è inglese, dopo, e mi interessa molto. Inglese non voglio perdermela”

Aprì l’armadietto, prese la vecchia scopa di saggina, la paletta e il secchio, e disse buongiorno uscendo.

Aveva quasi finito, il selciato di cemento era ormai libero da cartacce, bottiglie rotte e rimasugli di pane ammuffito. La ricreazione era suonata da un po’, e lui fece per tornare su.

Hey, scarafaggio, pulisci meglio!
Gli gridarono su dal secondo piano alcuni ragazzi.

Ed iniziarono a buttare giù pezzi di carta oleata sporchi, tozzi di pane. Ad un certo punto uno di loro prese il cestino delle carte e lo vuotò di sotto.

Stette per un attimo a guardare la grezza gettata di cemento di nuovo punteggiata di carte e sporcizia. Tirò su le spalle noncurante. Prese il secchio con la spazzatura che aveva raccolto, lo vuotò nel cassonetto sulla strada e si avviò su per la rampa di scale.

Sul pianerottolo incontrò Sir Arjun.
UN ATTIMO
Gli disse lui, cattivo, afferrandolo per un orecchio.
Andiamo a controllare se hai fatto bene i compiti
E lo trascinò giù per le scale.

Davanti all’arco che dava accesso al cortile c’era tutto il contenuto del secchio delle carte.
Non hai fatto nulla, Scarafaggio ! Verme ! Parassita !”
“Chi credi di essere ? Vuoi prendermi in giro ?  Vuoi propri sentire il bastone sulle tue gambe rinsecchite ?”
Lo prese per i capelli, lo spinse verso terra sino a farlo cadere in ginocchio. Gli si avvicinò all’orecchio, Anil sentiva il suo sudore acido così diverso da quello del suo papà.
“Adesso pulisci tutto per bene! E quando hai finito, prendi lo spazzolone e vai a pulire i cessi, CAPITO? I CESSI devi pulire! Io torno tra due ore e se non splendono, ti faccio sospendere, capito
?”

= = =

Quel giorno Hashish si sentiva sereno. Non c’era una ragione particolare, ma lui si sentiva sereno. Da un po’ qualcuno aveva iniziato a pagarlo in rupie, e con Noora si divertivano il fine settimana a girare per i negozi del borgo al di là del canale e a comprare qualcosa di carino: dei biscotti dolci per la prima colazione, il ciuccio e dei vestitini per la piccola Lalasa, che quel fine settimana avrebbe compiuto 2 anni, penne e quaderni per Anil. Un giorno avrebbe comprato una moto usata, forse.
Sapeva che Noora aveva già preparato la cena, e decise di rientrare in anticipo. Erano solo le 4, se si affrettava poteva passare a scuola e tornare alla capanna insieme ad Anil.
Si presentò a scuola, salì i cinque scalini del piano ammezzato. Si tolse il cappello davanti al banco del bidello in livrea verde scuro.
Sono il papà di Anil Chamar, vorrei riprendere mio figlio un’ora prima della fine delle lezioni” disse a bassa voce, per istintivo rispetto a quel luogo di studio.
Fece circolare lo sguardo intorno. Disegni colorati di bambini rendevano piacevole quelle vecchie pareti un po’ ingiallite.
“Il tempio del sapere. Se solo avessi potuto entrarci anche io, a sei anni. Non è vero che il mondo va sempre peggio. Migliora, invece”
Pensava Hashish.

“Vada su al secondo piano, la prima porta davanti a lei, Sir. Classe II^ C

Rispose il bidello.

Esitò un attimo prima di bussare. Dalla porta grigia e scheggiata filtrava un canto timido di bambina
“Twinkle, twinkle little star … how I wonder what you are …”
Bussò ed entrò rapido, aveva sentito dei passi adulti dietro di lui.
“Buon giorno, sono il papà di Anil Chamar”
Disse senza voltarsi verso la classe, fissando rispettoso la giovane insegnante dall’aria cittadina.

“Ehm… fece lei… il posto di Anil è quello giù in fondo, sulle stuoie… ma oggi non c’era…”
Disse la giovane maestra, immediatamente un po’ preoccupata.
“E’ a fare un servizio speciale”
Intervenne un bambino ben vestito alla sua sinistra.
“E’ stato assegnato alle pulizie, oggi. Forse lo trova giù ai bagni”

= = =

Lo localizzò che ramazzava rapido tra le latrine turche allineate alla parete in fondo.
Anil, figlio mio!”
Lo richiamò, in un tono che voleva dire “cosa ti fanno fare” e “cosa stai facendo” insieme.
Il piccolo Anil in una frazione di secondo riconobbe il papà e i toni, di compassione ma anche di risentimento, del suo richiamo. Si voltò. Lasciò lo spazzolone che cadde sulle le mattonelle con un colpo secco. Allargò un po’ le braccine magre e già un po’ muscolose. La sua bella maglietta bianca era sudicia in vari punti.
“Papà, sono di turno, oggi tocca a me”
Per qualche istante provò a difendere la sua amata scuola. Gli occhi gli si gonfiarono di pianto, una lacrimona salata gli raggiunse il labbro superiore, si strofinò il viso e abbassò lo sguardo.
Vieni qui, figlio mio
Hashish lo abbracciò teneramente a se, gli accarezzò la testa. Anil liberò il suo pianto silenzioso trattenendo vergogna e singhiozzi.

Che succede qui?”
Un uomo dalle pretese di autorevolezza, forse il direttore o un professore anziano, si affacciò alla porta del bagno con l’intenzione di unire padre e figlio nel suo richiamo all’ordine.
Hashish si voltò. Fece per incominciare a parlare, a spiegare… disse “sono venuto a riprendere mio figlio, ma non l’ho trovato in classe…”
L’uomo aveva capito tutto, percorse con lo sguardo la figura modesta ma fiera di Hashish.
Lei comunque non è autorizzato a girare da solo per la nostra scuola
Senza parlare Hashish raggiunse il secchio con l’acqua sporca. Si avvicinò al professore, e in un gesto senza soluzione di continuità glielo versò addosso, partendo dalla testa.

Domani ce ne andiamo da questo villaggio di merda, Anil. Ce ne andiamo in città, a Mumbai

Calmi e sicuri, Hashish e il piccolo Anil uscirono dal cortile della scuola in silenzio, e si avviarono nel caos di bici, motorini e auto strombazzanti della strada. Dietro di loro si era radunata una piccola folla di osservatori.
Al balcone del secondo piano, i compagni di classe di Anil non ridevano più.
 

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Ho sempre pensato che chi ha scelto di morire su una croce, ha scelto anche di nascere in un villaggio e inoltre la parola paganesimo deriva da pagus che vuol dire appunto villaggio: ma qui si apre un argomento forse troppo vasto e forse anche un tantino indigesto x l'ora del caffè. Tua madre
Sono un padre, e da padre capisco...Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo! (Matteo, 18, 6 – 7)
Lei è veramente molto bravo. Ho letto molto sull'India delle trecentomila dività. 1 ogni 5 indiani. Il besssere riguarda solo il 20 per cento della popolazione. Ma il futuro e parlo dei prossimi 20 anni riguarderà gran parte dell'India. Complimenti.
Grazie, grazie a tutti m