È facile leggere Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline, il suo tono sproloquiante, la sua vis polemica, la sua coprolalia diffusa, la sua valanga verbale.
Ed è naturale invaghirsene, tanto quanto lo è aborrirlo.
Più difficile, ma molto più intenso, è rileggerlo.
Perché il Voyage è un libro che sembra non prendersi sul serio, inizia e finisce con insignificanti pretesti, fa di tutto per dissacrare, per smontare, per sezionare, ma è figlio di una ispirazione superiore che viene direttamente dalle viscere, dal DNA.
È il grande fiume della vita quello che Céline ha saputo dipingere perché molto più di altri vi ha nuotato, spesso in apnea, fino ad annegarvi.
Gli schermi e le ipocrisie, che pure sono necessari a molti scrittori per eliminare il sapore amaricante dei sentimenti e delle umane vicende, sono del tutto assenti in questo libro che inquadra senza pietà alcuna l’occhio vitreo dell’animale uomo appena macellato.
Il Voyage è la pietra di paragone di ogni mia aspirazione, il paradigma di ogni mio ideale di vita.
Si ride tanto fra queste pagine, e tanto si piange per la profonda disperazione che vi trasuda.
È il testo della vita, che suona le note più ineffabili, parallele alla nostra realtà interiore ed esteriore.
È il romanzo che ti spiega chi sei, se non ci hai mai pensato abbastanza, ma è il libro che ti commuove per come riesce a dirtelo, se ci avevi pensato pure troppo.
È la prova inconfutabile che la vita non serve a niente, al di sopra di ogni spiritualità e di ogni fiera delle vanità.
È l’incontro che ti cambia, che spazza via depressione e malinconia cancellando ogni ricerca di senso.
È il libro dei libri, la bibbia del disincanto, l’esilio da se stessi ed il ritorno alla propria nullità.
È il viaggio di tutti i viaggi, il Voyage per antonomasia. Quello che ci porta a guardare dritto in faccia la fine del tunnel, finalmente liberi dalla paura.
Tutto questo è il Voyage: la sberla in faccia dell’amante, il pugno nello stomaco dell’amico, lo schiaffo di un padre.
Ma è anche morboso, amorale, umorale, fotografia di una società agonizzante preda di una voluttà suicida.
È un trattato sulle miserie umane, da quelle materiali a quelle spirituali e morali.
Ma soprattutto è il romanzo che cancella l’amore dall’orizzonte dello scibile; semplicemente svapora dal pensabile, dall’immaginabile e perfino dal desiderabile.
L’anima è putrescente al pari del corpo, e per avere risposte definitive a domande ataviche quanto irrisolte, non si può che ficcare le mani là dove il buio diventa notte, l’oscurità a tempo indeterminato che nessuna luce può diradare. Ma con la consapevolezza che guidando a fari spenti e a folle velocità si può attendere ad occhi spalancati lo schianto definitivo, con la lucidità di chi non si sia mai fatta la menoma illusione.
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