Spesso si oltrepassano le cose senza vedere. Altre volte si vedono senza capire. In alcuni casi si comprende tutto anche senza vedere nulla. Si dice che l’occhio sia lo specchio dell’anima e spesso ciò è vero, quando l’anima è trasparente. Altre no, quando la finzione diventa quel velo sugli occhi. Gli occhi velati, perché così è più semplice vivere in incognito.
Il libro “Storia naturale dell’occhio” di Simon Ings, edito da Einaudi, indaga il senso del vedere (e non solo quello umano) in modo esauriente. È un libro molto particolare: sull’evoluzione, la chimica, l’ottica, il colore, la psicologia, l’antropologia e la coscienza. Nessuno scrittore aveva mai pensato di rendere l’occhio il protagonista di una storia vasta ed epica insieme.
Gli animali vedono in diversi modi: alcuni pesci possiedono una percezione visiva verticale, perciò osservano contemporaneamente il mondo in alto e in basso. Alcuni uccelli e insetti hanno gli occhi posti in tutte le direzioni: vedono a 360°. L’uomo ha un campo visivo orizzontale pari a circa 180°. Gli occhi percepiscono perciò soltanto piccole porzioni della realtà e noi realizziamo la nostra conoscenza attraverso frammenti. “Forse, senza che io lo sappia, ogni piccola occhiata del mondo, corrispondente a qualche grado del mio campo visivo, contribuisce a un vasto modello mentale. Forse il mio modello è proprio questo, un insieme di piccoli sguardi, memorizzato con perfetta fedeltà”.
Ings si muove attraverso la letteratura dedicata all’occhio, una storia affascinante e piena di meraviglia, ed esamina le teorie dei numerosi studiosi che si sono occupati della vista, a partire dalle teorie di Aristotele, che osservò che nulla è visibile se non è illuminato e che tutte le luci provengono dal fuoco. “Gli occhi devono la propria esistenza alla luce. Diversamente dagli organi animali indifferenti, la luce genera un organo che corrisponde a se stessa” (J. W. Von Goethe).
La percezione del colore è personale e inesplicabile.
Noi non vediamo uno stesso colore, così come non percepiamo uno stesso dolore fisico, ma possiamo stabilire convenzionalmente cosa rappresenti un colore piuttosto che un altro. Nel film “Brama di vivere” del regista Vincente Minnelli, il pittore Vincent Van Gogh insegue un’elusiva “luce” attraverso l’Europa. William Turner era ossessionato dalla ricerca di luci diverse. Nel XIX secolo in Europa si sperimentano nuovi colori, grazie alla scoperta dei pigmenti sintetici. Si allarga così il campo dei possibili contrasti cromatici che gli artisti potevano ottenere. Il fumo di Londra, per i suoi effetti di luce inusuali e misteriosi, affascinò Camille Pissarro e Claude Monet.
“La possibilità che esistano limiti fisiologici al numero dei colori non è affatto ovvia all’occhio, apparentemente capace di discriminare un’infinita gamma di sfumature. Esiste da qualche parte nel mondo un colore mai visto prima che si cela nelle ali di un uccello tropicale, brilla nelle scaglie di un pesce di scogliera o è racchiuso nella lucentezza di una rara gemma appena estratta da miniera messicana? Come possiamo essere certi che non esistano più colori nuovi da scoprire?”.
All’inizio della vita i nostri occhi erano vuoti: finestre aperte su una stanza buia. Oggi risplendono, perché esprimono emozioni. A volte sorridono, spesso piangono. Brillano allora di una luce terribile.
Perché “gli occhi degli uomini fanno conversazione proprio come le loro lingue” (R. W. Emerson).
Noi sappiamo istintivamente che uno sguardo può ferire e un’occhiata può salvare.
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