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Una risposta al Consigliere regionale Rabbuffo sulla Riserva del Borsacchio

di Enzo Di Salvatore
10 minuti

Il Consigliere regionale Rabbuffo ritiene di non poter condividere la mia proposta sulla Riserva naturale del Borsacchio: quella di abrogare i divieti contenuti nella legge regionale del 2005, rinviando contestualmente ai limiti fissati dalla legge dello Stato. Il suo dissenso sarebbe giustificato da alcuni motivi, che, esposti attraverso un ragionamento ricco di congiunzioni coordinanti, vorrebbero logicamente decostruire la tesi criticata. La logicità di questa decostruzione, tuttavia, mi sfugge.
Rabbuffo muove dalla constatazione di come, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, la tutela dell’ambiente costituisca materia espressamente riservata alla competenza legislativa dello Stato. Per questa ragione, alle Regioni sarebbe precluso qualsivoglia intervento in materia di ambiente. “Perciò” – dichiara Rabbuffo – l’art. 23 della legge statale del 1991 “dispone che la legge regionale può definire la perimetrazione provvisoria e le misure di salvaguardia e deve individuare il soggetto per la gestione del parco che ha il compito di approvare il Regolamento e il Piano del Parco”. Egli, quindi, ricorda come l’art. 6, comma 3, della legge del 1991 vieti “fuori dei centri edificati l’esecuzione di nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti”, aggiungendo che questo divieto sarebbe contenuto finanche nell’art. 11, comma 3, della stessa legge. Dove? Dalla lettura della disposizione dell’art. 11, comma 3, non mi pare si ricavi questa conclusione: “nei parchi” – in essa si legge – “sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai rispettivi habitat”. Rabbuffo sostiene che questa previsione – secondo “consolidata giurisprudenza” – riguardi anche “l’esecuzione di nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti”. Quale sarebbe questa giurisprudenza? Se il divieto di edificazione fosse automaticamente e in modo assoluto ricompreso in detta disposizione dovrebbe anche ammettersi che sia privo di significato quanto scritto a chiare lettere nell’art. 6, comma 3, della stessa legge, ove questo divieto, salvo eccezioni, è previsto solo per le aree collocate fuori dai centri edificati. Vogliamo, forse, sostenere che il Legislatore statale si sia contraddetto?
“Ma vi è di più”, afferma Rabbuffo. L’art. 6, comma 4, stabilisce: “Dall’istituzione della singola area protetta sino all’approvazione del relativo regolamento operano i divieti e le procedure per eventuali deroghe di cui all’art. 11”. Per Rabbuffo con ciò sarebbe “evidente che, fino a quando non è nominato l’organo di gestione della Riserva del Borsacchio e non viene predisposto e approvato da quest’ultimo il Regolamento e il Piano di Assetto Naturalistico (PAN) opereranno, oltre alle misure di salvaguardia contenute nell’art. 11, anche il divieto di nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti nonché tutte le iniziative di introduzione di eventuali deroghe”. Non capisco perché questo dovrebbe essere “evidente”. Se fosse stato così “evidente”, il Legislatore statale lo avrebbe esplicitato. E invece in tale comma non si fa menzione né di nuove costruzioni, né della trasformazione delle opere esistenti. In realtà, con quel “ma vi è di più” egli vuol riferirsi (anche) ad un ulteriore tipo di divieto, che sarebbe logicamente ricompreso nell’art. 6, comma 4: quello di introdurre eventuali deroghe ai divieti ivi espressamente sanciti. Giusto. Ed è proprio per questo che ho suggerito di modificare la legge regionale del 2005: perché essa contiene divieti ulteriori e più stringenti rispetto a quelli previsti dallo Stato. In altre parole: perché la Regione Abruzzo ha a suo tempo approvato una legge che, introducendo deroghe vietate dalla legge del 1991, è illegittima. Per questo quella legge la si può tranquillamente abrogare. Rabbuffo, invece, dopo aver precisato che finanche la proposta di deroga alle misure di salvaguardia (patrocinata dal dott. Sorgi) sia da considerare illegittima (salvo più avanti contraddittoriamente affermare che “dovrebbe guardarsi con una certa attenzione” alle deroghe alle misure di salvaguardia disposte in favore della Pineta Dannunziana), dichiara: “Tanto meno, abrogare i divieti contenuti nell’art. 69 della L.R. 6/2005 servirebbe a superare i precisi limiti disposti dalla legge statale. Infatti, secondo costante giurisprudenza costituzionale, la Regione non può legiferare in materia di ambiente quand’anche esista un vuoto di disciplina”. Ebbene, non vedo in che modo la mia proposta si colleghi a questa giurisprudenza. La sentenza cui fa riferimento Rabbuffo è la n. 70 del 2011. Ne sintetizzo brevemente il contenuto, in modo che il lettore possa giudicare se quanto affermato dal mio critico sia pertinente o no alla proposta che ho avanzato.
Con una legge del 2010, la Regione Basilicata aveva introdotto una modifica alla legge sulle aree protette regionali (legge n. 28 del 1994). In base a questa modifica, si stabiliva che gli Enti Parco regionali potessero approvare provvedimenti specifici per l’esercizio di talune attività, anche in deroga al comma 3 dell’art. 19 della legge. E cosa stabiliva detto comma? Esso fissava alcuni divieti, che in buona sostanza risultavano coincidenti con quelli stabiliti dalla legge dello Stato. In questo modo, sulla base della modifica introdotta, la Regione finiva per consentire l’esercizio indiscriminato di ogni attività, seppur provvisoriamente, come ad es. la caccia, l’apertura delle cave, l’accensione di fuochi, ecc. A parere della Corte costituzionale, ciò costituiva una deroga ai divieti stabiliti dall’art. 11 della legge del 1991. Dunque, come si vede, esattamente il contrario di quello che con la mia proposta si vorrebbe conseguire: l’abrogazione dei divieti contenuti nella legge del 2005 e il contestuale rinvio ai divieti contenuti nell’art. 11 della legge dello Stato, tra i quali non figura né il divieto di costruire, né quello di trasformare le costruzioni esistenti; soluzione, questa, che, diversamente da quella accolta dalla Regione Basilicata, non potrebbe dirsi lesiva della competenza statale in materia di ambiente, atteso che in tal modo la Regione dichiarerebbe di voler applicare proprio la legge dello Stato.
Rabbuffo, tuttavia, dichiara che sia necessario approvare una legge di riperimetrazione della riserva, perché ciò consentirebbe di “sanare” l’illegittimità della legge istitutiva del 2005, approvata a suo tempo senza il parere degli Enti locali. Nel dire questo, egli afferma contestualmente che le mie perplessità sul suo progetto di legge sarebbero ingiustificate, in quanto gli Enti locali si sarebbero già espressi in proposito.
In relazione alla prima affermazione (mancata partecipazione degli Enti locali), torno a sottolineare come la questione dell’illegittimità costituzionale della legge del 2005 costituisca, in realtà, un falso problema. Il Governo, infatti, può impugnare le leggi regionali solo entro 60 giorni dalla loro pubblicazione. E, in relazione alla legge del 2005, questo termine è ampiamente scaduto. Residuerebbe solo una strada: quella del giudizio in via incidentale. Ma anche questa ipotesi appare meramente teorica, in ragione del fatto che se un privato agisse in sede giurisdizionale contro il diniego opposto dalla P.A. difficilmente potrebbe, poi, far valere l’illegittimità della legge del 2005, adducendo quale argomento che essa sia stata adottata senza il parere degli Enti locali. La questione, infatti, pur essendo fondata, sarebbe del tutto irrilevante ai fini della decisione del giudice; e se  venisse sollevata dinanzi alla Corte costituzionale, questa la dichiarerebbe  per certo inammissibile. Non così, probabilmente, qualora il privato sostenesse, invece, che la legge del 2005 sia illegittima perché recante un divieto generalizzato ad edificare, più ampio, cioè, di quello posto dalla legge del Parlamento.
In questo caso, la dichiarazione di illegittimità non investirebbe la legge nella sua interezza: essa la colpirebbe solo nella parte in cui inasprisce i divieti oltre quanto consentito dalla legge dello Stato. Per questo va cambiata. Ovvio che se si riapprovasse una legge di riperimetrazione della Riserva i termini per il ricorso del Governo decorrerebbero nuovamente.
Quanto alla seconda affermazione (ingiustificate perplessità sul suo progetto di legge), mi meraviglia che un critico così attento, quale certamente è il Consigliere Rabbuffo, non abbia letto con scrupolo quel che stabilisce la legge dello Stato (*). L’art. 22 afferma testualmente che il parere degli Enti locali va reso in Conferenza e non unilateralmente. Rabbuffo, peraltro, sostiene che i Comuni di Giulianova e di Roseto si siano già espressi sul suo progetto di legge e che lo abbia fatto persino la Provincia di Teramo. A me risulta vero il contrario: i pareri dei Comuni di Giulianova e di Roseto non sono stati resi in Conferenza, ma attraverso due distinte delibere adottate dai rispettivi Consigli comunali; delibere, queste, che non prendono neppure posizione su alcuna delle proposte avanzate in Consiglio regionale, ma che rilanciano, al contrario, una diversa e autonoma proposta (inutilizzabile, però, in quanto non conforme alle condizioni fissate dall’art. 4 della legge regionale n. 38 del 1996). Su nessuna delle proposte avanzate si è, poi, espressa la Provincia di Teramo. L’ultima volta che la Provincia ha messo bocca sul problema è stato nel 2008; quindi, se non erro, prima che il Consigliere Rabbuffo presentasse la propria proposta di legge.Rabbuffo osserva come nel mio articolo io confonda il “centro edificato” con il “centro abitato”. Ha ragione a rimproverarmi questa imprecisione del linguaggio, sebbene io l’abbia fatto solo per agevolare la comprensione del lettore. Ciò detto, però, credo che questa differenza finisca per essere oziosa, atteso che il problema – se ben inteso – sarebbe dato principalmente dalla situazione in cui versa il quartiere dell’Annunziata: che è appunto un centro edificato.
 

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in senso estetico eh?