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La Corte e la Pineta Dannunziana: una sentenza che non convince

di Enzo Di Salvatore
8 minuti

La sentenza con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della legge regionale sulla “Pineta Dannunziana” non ha destato alcuna sorpresa presso l’opinione pubblica: ai più deve essere parso un fatto quasi scontato che la decisione sull’ampliamento della Riserva dovesse essere preceduta da un necessario coinvolgimento degli enti locali a ciò interessati.
Una soluzione non solo opportuna, ma persino legittima. Lo stabilisce una legge dello Stato del 1991 e lo ribadisce una legge della Regione del 1996. Non aver rispettato la legge dello Stato e quella della Regione vuol dire, quindi, aver violato indirettamente la Costituzione: non solo l’art. 118 sulle funzioni amministrative, ma anche e soprattutto l’art. 117 sul riparto delle funzioni legislative tra lo Stato e le Regioni.
E segnatamente: la competenza sulla “valorizzazione dei beni culturali e ambientali”, in base alla quale lo Stato è chiamato a fissare con legge i principi fondamentali della materia e la Regione a recare la normativa di dettaglio, e la competenza sulla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, in base alla quale solo lo Stato può dettare con legge l’intera disciplina della stessa.
Il ragionamento portato avanti dall’Avvocatura dello Stato procede per equazioni: ampliare un’area protetta già istituita vuol dire istituire una nuova area; istituire una nuova area vuol dire dover rispettare l’art. 22 della legge 394 del 1991, che impone che al riguardo siano sentiti gli enti locali; non aver sentito gli enti locali vuol dire aver violato la legge dello Stato; aver violato la legge dello Stato vuol dire aver violato l’art. 117 della Costituzione sulla competenza legislativa.
Qui si pone il primo problema: quale tipo di competenza sarebbe stata violata? Quella sulla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” o quella sulla “valorizzazione dei beni ambientali”?
Nel dubbio, l’avvocatura dello Stato evoca entrambi i tipi di competenza; e la Corte costituzionale, nel dubbio, preferisce non sciogliere il dubbio.
In una sentenza del 2009, la Corte aveva chiarito che la parola “ambiente” è da riferire all’habitat dell’uomo e il termine “ecosistema” alla natura in sé. Ragion per cui l’espressione “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, lungi dal poter essere intesa come una endiadi, imporrebbe che solo lo Stato possa intervenire in proposito.
Detto intervento, aveva precisato la Corte, “viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza”, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela più elevate nell’esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che vengano a contatto con quella dell’ambiente.
Un esempio per chiarire quanto si sta dicendo: se la Regione adotta una legge in materia di agricoltura e la materia involge questioni di carattere ambientale, la Regione può intervenire su dette questioni, accordando una tutela maggiore rispetto a quella fissata dallo Stato.
Diverso discorso sarebbe da farsi, invece, per la “valorizzazione dei beni ambientali”.
Con detta espressione si farebbe riferimento a quelle attività che siano dirette a migliorare le condizioni di conoscenza e di conservazione dei beni ambientali e ad incrementarne la fruizione (così Corte cost., sent. 9/2004).
Su questo tipo di “materia” hanno competenza tanto lo Stato, quanto la Regione: lo Stato stabilisce i principi fondamentali e la Regione reca la normativa di dettaglio. In questo caso, la legge della Regione non può violare i principi fissati dallo Stato senza con ciò non violare l’art. 117 della Costituzione.
Su queste premesse, risulta evidente, allora, che l’istituzione di un’area protetta non ha nulla a che fare con la “valorizzazione dei beni ambientali”: essa rientra nella “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, che in quanto tale è riservata alla esclusiva competenza dello Stato.
E rispetto a questo tipo di competenza la Regione potrebbe fare una cosa sola: innalzare il livello di tutela, qualora si trovi a disciplinare una materia di sua competenza.
Questo è almeno quanto si ricava dalla Costituzione e dalla giurisprudenza della Corte.
Il punto dolente dell’intera questione è in realtà un altro. Il Governo e la Corte sostengono che la Regione Abruzzo abbia violato l’art. 22 della legge n. 394 del 1991, nonché una serie di leggi regionali, tra le quali quella del 1996 sulle aree protette (ma su quest’ultimo punto preferisco sorvolare, limitandomi ad osservare che non si vede quale rilievo costituzionale possa avere la circostanza che una legge regionale “violi” una precedente legge regionale).
Ora, questa conclusione non è condivisibile per la semplice ragione che a dover essere discusso è il presupposto di partenza, non la conseguenza che se ne trae: l’art. 22 di quella legge, infatti, non può dirsi conforme al quadro costituzionale vigente; essa, prevedendo che la partecipazione degli enti locali costituisca principio fondamentale per la disciplina delle aree naturali protette regionali, presuppone, implicitamente, da un lato, che la tutela dell’ambiente sia una materia di competenza concorrente e non esclusiva dello Stato e, dall’altro, che la Regione, qualora decidesse di intervenire, debba farlo con legge.
Non solo: che debba farlo con legge dopo aver ottenuto il parere degli enti locali (attraverso apposite conferenze). Il che mi pare francamente troppo, per le seguenti ragioni:
1) solo la Costituzione e mai la legge dello Stato può attribuire una competenza legislativa in capo alla Regione;
2) aver previsto che l’adozione della legge da parte della Regione debba essere preceduta dal parere degli enti locali vuol dire accordare alla legge della Regione una forza “atipica”, ossia renderla particolare dal punto di vista della sua efficacia. Ed anche questo è da ritenersi in palese violazione della Carta costituzionale: non potrebbe, infatti, sostenersi che la partecipazione al procedimento degli enti locali sia conseguenza del principio di leale collaborazione, perché dire questo (come pure sembra presupporre qui la Corte; ma in senso contrario v. le sentenze 401/2007, 371 e 222/2008) vorrebbe dire ammettere che la collaborazione possa interessare finanche l’attività legislativa (quando, invece, la Carta costituzionale individua tassativamente le ipotesi di “particolare” efficacia delle leggi: ad es. art. 8) e non solo quella amministrativa.
Non è un caso che la concreta istituzione di un Parco nazionale, decisa per legge dello Stato, avvenga concretamente con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente, sentita la Regione. In questo caso, l’intervento della Regione è, per così dire, sui contenuti del decreto, non su quello della legge.
Questa confusione di fondo emerge significativamente da un passaggio della stringatissima sentenza adottata: non può considerarsi legittima – afferma la Corte – l’adozione “di modalità procedimentali che – come nella specie – si discostino in peius dai principi fondamentali tracciati dalla legislazione statale a garanzia dei diritti partecipativi”. “In peius”: qui è evidente come la Corte sovrapponga i due tipi di competenza legislativa: se si trattasse di competenza concorrente (come pare ammettere la Corte evocando i “principi fondamentali”), la Regione non potrebbe discostarsi dai principi né “in peggio” né “in meglio”. I principi sono quelli che sono: quelli che stabilisce la legge dello Stato. Se, viceversa, si trattasse di una competenza esclusiva dello Stato (come pare ammettere la Corte utilizzando l’espressione “in peius”), allora non avrebbe senso alcuno discorrere di principi fondamentali: la Regione potrebbe intervenire in materia solo innalzando e mai abbassando la soglia di tutela.
 

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Qualcuno mi puo' spiegare perche' la "pineta" e' ancora chiusa per neve ? In due mesi nessuno e' in grado di mettere insieme un intervento di manutenzione straordinaria ?