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Il Corrosivo: La politica: arte ereditaria?

di Elso Simone Serpentini
7 minuti

GIOVANE – Socrate, ma tu hai fatto politica?
SOCRATE - Non ho mai esercitato nessuna carica in città, se non come membro della Bulé.
GIOVANE -  Ah, allora hai fatto politica.
SOCRATE - Capitò che la mia tribù Antiochide avesse la pritania quando i miei concittadini decisero di giudicare tutti insieme, illegittimamente, come sembrò in un secondo momento a tutti, dieci strateghi che non avevano raccolto i naufraghi di una battaglia navale.
GIOVANE – E come andò la cosa?
SOCRATE – Io solo fra i pritani mi opposi e, per non fare niente contro la legge, votai contro una decisione che ritenevo ingiusta.


GIOVANE – Dunque, fosti il solo oppositore.
SOCRATE – Sì.
GIOVANE – E come reagì la maggioranza?
SOCRATE – Tutti erano pronti a denunciarmi e a trascinarmi in giudizio e gli ateniesi gridavano e li incitavano a farlo.
GIOVANE – E tu, per non essere denunciato, facesti un passo indietro?
SOCRATE – No, io pensavo che era per me doveroso rischiare il tutto per tutto con la legge e la giustizia, piuttosto che stare con la maggioranza e deliberare cose ingiuste, per paura della prigione o della morte.
GIOVANE – Questo con la democrazia non sarebbe successo.
SOCRATE – Guarda che questo accadde quando nella mia città c’era la democrazia, ancor prima che arrivasse la tirannia.
GIOVANE – Figuriamoci. Quando arrivò la tirannia, fu peggio.
SOCRATE – Devo dire che per la città fu peggio, ma non per me. Quando arrivarono al potere i trenta tiranni, mi rifecero chiamare al Tholo con altri quattro, e mi ingiunsero andare ad arrestare a casa sua Salamina Leonte di Salamina per metterlo a morte. Essi davano molti ordini del genere a numerosi altri, perché volevano contaminare con le loro colpe più persone possibili.


GIOVANE – E tu che facesti?
SOCRATE - Provai non a parole, ma con i fatti, che della morte non m’importa – se non è detto troppo rusticamente – proprio nulla, mentre non agire in modo ingiusto ed empio mi sta del tutto a cuore. Perciò quel governo, pur essendo così potente, non mi turbò tanto da indurmi a fare qualcosa di ingiusto. Uscito dal Tholo, mentre gli altri quattro andarono a Salamina ad arrestare Leonte, io mi allontanai e me andai a casa mia.
GIOVANE – Noi la chiamiamo disobbedienza civile. E pagasti qualche cosa per questo atto di disobbedienza?
SOCRATE – Forse avrei pagato. Quasi certamente sarei stato messo a morte se il governo dei Trenta tiranni non fosse stato velocemente rovesciato.
GIOVANE – Meno male. Mi pare che dopo il Trenta tiranni fu ripristinata la democrazia.

SOCRATE – Non ti sbagli. Ma fu proprio la restaurata democrazia che mi condannò a morte.
GIOVANE – Ecco, questo l’ho sentito dire e me ne sono sempre meravigliato. Mi sono sempre chiesto come mai anche la democrazia non tolleri la disobbedienza.
SOCRATE – Nessun potere politico tollera la disobbedienza e la punisce, in un modo o nell’altro, con la morte fisica o con quella civile.
GIOVANE – Socrate, ma la politica è l’esercizio del potere o l’arte di gestire gli affari della città?
SOCRATE – Dovrebbe essere la seconda, ma troppo spesso è il primo.
GIOVANE – E’ vero che Protagora diceva che quest’arte, del gestire gli affari della città, la politica, imsomma, è insegnabile.

SOCRATE – Lo sosteneva, ma io sostenevo e sostengo il contrario. Continuo a sostenere che ritengo che l’arte della politica non sia un’arte, perché non insegnabile né acquisibile dagli uomini. Quando la città deve deliberare sulla costruzione di un edificio, vengono chiamati gli architetti come consiglieri; quando si deve fare una scelta urbanistica si chiamano degli urbanisti, quando si deve decidere sul traffico, si chiama un esperto e, se dice la sua qualcuno che non è esperto, anche se è bello, ricco e nobile, non viene ascoltato, ma deriso e contestato, tanto che deve smettere da solo o viene fatto smettere di parlare. Sollevato via di peso. Quando, invece, si deve deliberare sull’amministrazione della città, tutti esprimono il loro parere allo stesso modo: il falegname, il fabbro e il calzolaio, il mercante e l’armatore, il ricco e il povero, il nobile e il plebeo. Nessuno li critica, è chiaro che la politica non viene ritenuta un’arte e non viene ritenuta insegnabile.
GIOVANE – Ma nella mia città, Interamnia, non deve essere così, la politica deve essere un’arte e per di più trasmessa da padre in figlio. Ci sono tanti uomini politici figli di uomini politici. Non possono che avere appreso l’arte della politica dai loro padri.

SOCRATE – Io so che Pericle fece educare i suoi figli alla perfezione nelle discipline che richiedono maestri, mentre per quelle in cui lui stesso era sapiente né riuscì ad educarli lui né riuscì a farli educare da qualcun altro, tanto che  i suoi figli vagano soli e pascolano come animali selvatici, sperando di incontrare per caso le capacità politiche. Vuoi un altro esempio?  Ancora Pericle era tutore di Clinia e temeva che il fratello maggiore, Alcibiade, potesse guastarlo. Fece separare i due fratelli e affidò Clinia ad un educatore. Questi, però, poco tempo dopo riconsegnò Clinia a Pericle, non riuscendo a ricavarne nulla di buono. Potrei farti i nomi di molti altri che hanno cercato di insegnare l’arte politica ai propri figli, ma invano.
GIOVANE – Ma nella mia città i figli dei politici fanno politica e sono politici anche loro.
SOCRATE – Sei sicuro che siano veri politici, cioè buoni o anche semplicemente sufficienti amministratori della città, e non dei semplici detentori del potere? Che si limitano ad esercitare senza alcuna capacità?
GIOVANE – E’ il sospetto che hanno molti. Tanto che si propongono di rovesciarli dalla loro occupazione del potere, che ritengono arbitraria.
SOCRATE – Ma ci sono in questa tua città persone capaci di rovesciarli?

GIOVANE – Ci sono alcuni che sostengono di avere questa capacità e si propongono di sostituirsi ad essi.
SOCRATE – C’è una sola possibilità di misurare la loro capacità, almeno quella essenziale. Valutare la loro libertà di pensiero. Se sono liberi pensatori e non debitori a quegli antichi detentori del potere, può essere che siano capaci. Ma se sono stati loro servi, o adulatori o debitori, non possono avere questa capacità.

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Commenti

Bellissimo articolo, mi piacerebbe leggerne altri così. Una richiesta : cosa ne pensa dell' idea della politica di Platone?
Caro Prof non ci puo' essere un articolo piu' vicino ai nostri tempi, infatti oggi chi svolge il proprio dovere e' perseguitato continuamente. Si parla di democrazia ma quale democrazia forse perche' hanno dato ad essa un nuovo significato????Povera Italia e Poveri cittadini onesti......Egregio Professore la ringraziamo per il suo impegno e per la sua costanza.
L'arte di padre é mezza imparate. Questo detto antico voleva limitare la professionalità dei mestieri ereditati che avrebbero fatto peccare in brillantezza e passione. Al contrario avrebbero fatto aumentare la parte lucrativa nella frazione prezzo prestazione. La "convenienza" non é mai un deterrente di qualità, il bravo professionista non cura i guadagni ma i risultati operativi. Gli stipendi così alti non fanno arricchire di professionalità, ma incitano all'esportazione di banconote.
Non trovo giusto giudicare – men che meno eventualmente condannare (ultimamente neanche tanto “eventualmente”) – un politico, in quanto figlio di politico. L’operato dei figli dei magistrati, dei notai, degli avvocati, dei medici, degli ingegneri e via dicendo (nonché dei figli dei politici) che nella vita hanno le medesime qualifiche dei loro padri o delle loro madri, va valutato indipendentemente dai meriti o dai demeriti del passato di questi ultimi. Potrebbe essere – nessuno ha il diritto di escluderlo a priori – che la vocazione a svolgere qualsivoglia attività, possa nascere nell’animo di un ragazzo in maniera completamente avulsa da ciò che il parente stretto è stato. A questo nessuno mai pensa, sbagliando. Altresì, non ci vedo nulla di strano se dette vocazioni nascono grazie agli insegnamenti ricevuti in famiglia. Anzi, mi sembra una cosa più che logica. D’altronde esistono anche innumerevoli persone che svolgono professioni “ereditate” come quella del gommista, del fabbro, del ristoratore, ecc., semplicemente perché hanno deciso di fare questi lavori sulla scorta della capacità, dell’onestà e della correttezza con la quale i loro genitori li hanno svolti. Ma su di loro nemmeno una parola, anche quando non si dimostrano all’altezza di essere dei buoni gommisti, dei buoni fabbri, dei buoni ristoratori, ecc. Più facile, invece, sfruttare questo stesso argomento nel caso dei politici, ancor più sotto campagna elettorale, sulla scia di una credibilità degli stessi che in questo periodo è ai minimi storici. Ma è demagogia. Strumentale demagogia, a maggior ragione quando è esternata come in questo caso. Le allusioni a me non sono mai piaciute, per questo avrei preferito un articolo nel quale i vari Paolo Gatti, Mauro Di Dalmazio, Giorgio D’Ignazio, Paolo e Marco Tancredi e forse qualcun altro, fossero stati esplicitamente nominati. Denigrare i suddetti non per presunti fallimenti conseguiti in politica, bensì in quanto “figli d’arte, è scorretto e lo dico chiaramente. Farlo sottintendendo alle loro persone scomodando Socrate, è subdolamente scorretto. E lo dico altrettanto chiaramente, con tutto il rispetto per il Prof. Serpentini.
MA SOCRATE NON ERA COME VIENE RAPPRESENTATO NELL'ODIERANO DIALOGO ( socratico). Perché Socrate, oltre ad essere dotato di qualche grammo di cervello era un uomo coraggio e forte. Non temeva nessuno, guerriero in battaglia , salvò la vita ad Alcibiade. In tempo di pace rischiò la vita quando disubbidì all'ordine dei 30 tiranni di arrestare un loro oppositore, Leonzio (?). Era uno che parlava chiaro, senza riserve, i suoi " obbiettivi " venivano sempre un nome e un soprannome, come si dice oggi ci metteva la faccia e pagava di persona... e come pagava! nei suoi memorabili dialoghi riusciva sempre a dimostrare che la presunta sapienza dei suoi interlocutori fosse in realtà ignoranza grassa. Questo mi sembra fosse Socrate, l'uomo Socrate, al quale piacevano molto le donne....praticamente era un GRANDE!