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Il Corrosivo: La giustizia a macchia di leopardo.

di Elso Simone Serpentini
8 minuti

C’era a Teramo, da anni, un Procuratore della Repubblica che si chiamava Gaetano Ancona. Lo chiamavano tutti don Gaetano, perché lo rispettavano tutti. Era verace, generoso, buono d’indole e di animo. Anche quando per gli imputati chiedeva condanne pesanti, non ometteva mai un riconoscimento caritatevole, non si tirava mai indietro quando si doveva stendere un velo pietoso o concedere un’attenuante. Era un cacciatore e i suoi compagni di caccia dicevano che anche quando sparava con il suo fucile alle lepri, spesso sbagliava il colpo perché all’ultimo momento era preso quasi da un senso di commiserazione e di empatia per la selvaggina.

Quando arrivò come Sostituto l’allora giovanissimo Massimo Cecchini, sorprese un po’ non solo per l’inconsueto rigore etico e morale, ma anche per la severità delle sue requisitorie e per la pesantezza delle sue richieste di condanna, decisamente superiore a quella consueta al dott. Ancona. Non pochi avvocati locali erano terrorizzati al momento in cui il dott. Cecchini, concludendo la sua requisitoria, si accingeva a quantificare il tempo che sarebbe stato necessario all’imputato per scontare la sua pena, se i giudici giudicanti avessero riconosciuto la sua colpevolezza.

Un celebre avvocato penalista venuto da Roma,
il prof. Giuseppe Sotgiu, un giorno si permise in piena aula di Corte d’Assise, nel corso di un processo, di fare una battuta, rivolgendosi al Sostituto, che aveva appena chiesto per un imputato da lui difeso una condanna decisamente pesante. Gli disse. “Cortese Sostituto, credo che lei debba mutare il suo nome da Massimo Cecchini in Massimo Della Pena”.

Ogni sanzione di reato prevede un minimo e un massimo e la quantificazione dipende dal riconoscimento di attenuanti e di aggravanti, in base a determinate circostanze che il dibattito processuale analizza e accerta. E’ quindi naturale che diversi collegi giudicanti o diversi giudici monocratici emettano sentenze diverse, a seconda dei giudizi espressi, per lo stesso tipo di reato e addirittura per lo stesso reato, commesso dallo stesso imputato, nei diversi gradi di giudizio previsti dall’ordinamento legislativo. Non sorprende che una sentenza di primo grado possa essere riformata in appello e poi in Cassazione relativamente alla quantificazione della pena. Sorprende invece molto, ogni volta, che una sentenza di assoluzione in primo grado possa risolversi in una sentenza di colpevolezza in appello e magari sfociare in Cassazione in una nuova assoluzione o viceversa.

Come possono gli stessi fatti indurre alcuni giudici a ravvisare
estremi certi di reato e altri giudici a riconoscere una piena innocenza? Come può un giudice istruttore, o chi per lui nel nuovo codice di procedura penale, rinviare a giudizio, magari con tanto di detenzione preventiva, un imputato che poi viene successivamente completamente assolto da tutte le accuse? Non pretendo che la scienza giuridica sia scienza alla stessa stregua di una scienza esatta, ma certo il diritto non può oscillare come un pendolo tra colpa certa e innocenza certa così come fa tra un minimo e un massimo della pena.

C’è poi un altro aspetto: continuo a meravigliarmi di quanto possa essere breve la distanza tra una sanzione e l’altra a proposito di reati che sono invece assolutamente distanti quanto a gravità e a pericolosità sociale. E’ possibile condannare un imputato a diciotto mesi di detenzione per falso in atto pubblico, magari in tema di autenticazione di firme elettorali, e un altro imputato ad appena sei anni per il delitto di omicidio in persona del proprio figlio? Possono tutte le attenuanti e le aggravanti di questo mondo rendere così esile il velo tra una sanzione e l’altra? 

E’ possibile poi che ad anni di distanza dalle indagini iniziali un iter processuale non sia ancora concluso o che si concluda in una bolla di sapone un impianto accusatorio di gravità inaudita, tale da determinare l’arresto preventivo degli indagati, l’annientamento di una giunta regionale, l’annichilimento di una carica istituzionale, il disfacimento della dignità di una persona? 

Ho fatto parte di organi giudicanti nel mondo della scuola. Ho condiviso con colleghi le responsabilità gravi di giudizi scolastici che hanno determinato la promozione e la bocciatura di studenti in momenti cruciali del loro corso degli studi. Ho sempre avvertito, in ogni decisione, sempre sofferta, il peso della responsabilità del giudizio e la paura di sbagliare. Troncare o arrestare la carriera scolastica di uno studente ritenuto non meritevole di proseguirla è, tuttavia, assai meno grave di privare una persona della sua libertà e di spedirlo in galera, magari per anni e anni. L’errore giudiziario sempre in agguato deve aver turbato il sonno a centinaia e centinaia di giudici e di componenti di collegi giudicanti. O no? Esistono davvero giudici che, dopo aver comminato un ergastolo (o in qualche caso addirittura la pena di morte) se ne vanno nel proprio letto a dormire il sonno del giusto?

Cosa c’è nell’animo e nella coscienza del giudice che tormentò a morte il povero Enzo Tortora e che non solo non ha scelto di ritirarsi per sempre dalla magistratura, ma ha accertato le promozioni che gli sono state accordate e perfino incarichi politici? E che cosa c’è davvero nell’animo e nella coscienza di un giudice che assolve in maniera indecorosa un imputato eccellente, giudicando che siano quisquilie e leggerezze di comportamento azioni che un suo collega ha in precedenza giudicato come fatti di gravità penale tali da meritare una sanzione? Come può avvenire che un giudizio di assoluzione possa seguire ad una richiesta di condanna da parte del rappresentante della pubblica accusa, al di là di ogni più rosea speranza del collegio difensivo? E’ sempre e solo segno dell’indipendenza della magistratura giudicante rispetto alla magistratura inquirente o a volte non è acquiescenza ai poteri forti e condiscendenza verso di essi, riverenza e inchino negazioni del diritto?

Troppe volte l’espressione “ius soli” rappresenta qualcosa di diverso dal suo significato reale: la possibilità che lo stesso fatto sia ipotizzato come reato da una Procura e non da una Procura vicina, da un giudice e non da un altro della stessa Procura. Troppe volte alcuni giudici passano per colpevolisti a prescindere e altri per innocentisti a prescindere. Troppe volte alcuni giudici sono noti per la consuetudine di emettere le proprie sentenze senza conoscere e senza leggere i fascicoli processuali. Troppi giudici passano per “buonisti” e troppi per “cerberi”. Troppe volte la prima cosa che un avvocato spiega al proprio cliente è che ci sarà una più alta probabilità di essere assolto se si sarà giudicato da quel giudice invece che da quell’altro, o di essere condannato se sarà giudicato da quell’altro invece che da quello.

Il diritto, per essere pieno, deve concretizzarsi anche nel diritto del ribaltamento delle sentenze. Ma non può essere materia così elastica da dare adito a interpretazioni non solo diverse, ma addirittura contrastanti, diametralmente contrastanti. Questo vale anche per le indagini e per le iniziative delle diverse Procure.
E’ inspiegabile che alcune avviino indagini per ipotesi di reato relativamente a fatti e circostanze di analoga e identica natura che altre Procure tranquillamente ignorano e davanti alle quali restano del tutto inerti.

E’ inspiegabile che alcune Procure perseguano reati e imputati
e che altre Procure trascurano, considerando gli uni e gli altri perfettamente legittimi, pur essendo del tutto simili ed essendo diversi soltanto il luogo in cui fatti sono stati e vengono compiuti e perciò la sede di competenza giudiziaria. Si parla tanto di giustizia ad orologeria. Mi spaventa di più la giustizia a macchia di leopardo.

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Errata corrige : i mesi di condanna per falso in atto pubblico sono stati 20 e non 18, ovvero un anno e otto mesi , che probabilmente fa confondere la mente( di chi legge ) con diciotto mesi ovvero "un anno e mezzo di pena". Puntualizzo non per pignoleria , ma trattandosi di condanna penale, in rapporto al reato la differenza di " due" trattasi di mesi o di anni è tanto soprattutto in caso di riscontro di buona condotta al fine del calcolo di sconto di pena .
Gentile Professore, il Suo articolo condivisibile appieno in quasi tutte le sue parti manca di un aspetto che Lei ha appena accennato. Gli avvocati. Converrà con me che sono una variabile nel sistema giustizia assolutamente non trascurabile. L'unico passaggio che Lei riserva... "Troppe volte la prima cosa che un avvocato spiega al proprio cliente è che ci sarà una più alta probabilità di essere assolto se si sarà giudicato da quel giudice invece che da quell’altro, o di essere condannato se sarà giudicato da quell’altro invece che da quello." è poco per far comprendere le diverse pronunce di giudici in merito allo stesso reato. Ho conosciuto avvocati delinquenti ed avvocati onesti. Le assicuro che hanno il potere di influenzare (con conoscenze - Lei direbbe massoniche?- in ambienti giudiziari o investigativi, con trucchetti processuali, con false testimonianze, con documentazione falsa, con fascicoli spariti) indagini o giudizi e far decidere per questa o quella condanna confondendo o ingannando lo stesso giudice con alcuni o con tutti i mezzi citati. Parte dell'opinione pubblica ritiene che l'uso di questi mezzi segna la differenza tra l'avvocato bravo e quello meno bravo. Mi chiedo. In questo ambito, qual'è la linea della delinquenza in giacca e cravatta tracciabile e riconoscibile? Ho assistito ad udienze con giudici che zittiscono avvocati perchè scoperti a fare i furbi prendendo in giro e confondendo il giudicante che pur se scopre la verità storica, quest'ultima, alla fine, non coincide con quella processuale. Può un sistema giudiziario moderno avere ancora questa divergenza? Sarebbe interessante un Suo articolo incisivo ed indagatorio sulla realtà teramana che Lei perfettamente conosce ed analizza nei Suoi scritti che piacevolmente leggiamo.
Sig. Pino, da qualche parte ho letto di un tizio che è stato denunciato da un rappresentante ufficiale della comunità dei Rom, per aver detto in una trasmissione radiofonica che la maggior parte degli zingari vive rubando (dettaglio: il “tizio” è stato condannato, anche se non so la pena che gli è stata inflitta). Non oso pensare, quindi, quale sarebbe la reazione non solo della categoria degli avvocati, ma anche della categoria dei magistrati leggendo il suo commento. Da non appartenente a nessuna delle due suddette categorie, mi permetto di rendere nota la mia di reazione. In ogni tipo di dibattito o di semplice scambio di opinioni, è in genere un errore anche solo accennare alle eccezioni. Se poi tali eccezioni si pretende vengano prese in considerazione alla stregua degli esempi preminenti, l’errore diventa in assoluto il più grande che si possa fare, soprattutto se il fine della discussione è quello di giungere ad una conclusione. A mio parere la classe forense italiana è prestigiosissima, in special modo presso alcuni Fori (mi viene in mente Napoli anche se può sembrare strano perché è la città della camorra, eppure quello partenopeo è un Foro al quale appartengono tradizionalmente avvocati superlativi). Altrettanto lo è la classe dei magistrati, competenti come pochissimi loro colleghi di altre Nazioni. Poi è logico che le eccezioni (quelle sopra menzionate, appunto) ci sono sempre, come d’altronde in ogni ambito. Ma nel caso specifico, le eccezioni (chiaramente parliamo di eccezioni negative) sono talmente esigue rispetto alla maggioranza degli avvocati e dei magistrati, da rendere ininfluente qualsivoglia riferimento compromettente quando di essi si parla. Su 999 avvocati che vincono una causa grazie alla preparazione ed alla competenza, ce n’è forse uno che la vince grazie alla furbizia ed a manovre contrarie alla deontologia professionale. Su 999 Giudici che emettono una sentenza assolutamente saggia ed equa, ce n’è forse uno che per impreparazione o perché connivente con un avvocato professionalmente “equivoco” la emette condannando – in sede civile o in sede penale – la parte sbagliata. Solo che i primi 999 avvocati o magistrati non fanno notizia (l’onestà e la preparazione non fanno quasi mai notizia), mentre quell’unico avvocato o magistrato su mille si (la disonestà e l’impreparazione fanno notevolmente notizia). Ecco perché, sig. Pino, trovo estremamente devianti (per usare un eufemismo) i concetti espressi nel suo intervento, nonostante la premessa “ho conosciuto avvocati delinquenti ed avvocati onesti” che a poco serve per blandire il suo netto, eccessivamente negativo giudizio se poi lei parla esclusivamente delle eccezioni, cioè degli avvocati delinquenti. Peraltro, a rendere ancor più discutibili i sui pareri concorre l’assenza di qualsivoglia premessa riguardo i magistrati, infatti a mio parere anch’essi immeritatamente molto, troppo penalizzati dalle sue opinioni, dal momento che li ritiene influenzabili e/o facilmente ingannabili dalle scorrette tattiche processuali degli avvocati. In conclusione, lei, sig. Pino, ha rappresentato uno scenario irreale, dal quale ne scaturirebbe, se fosse vero, l’allontanamento di qualsiasi cittadino dai Tribunali per i prossimi mille anni e la convinzione per ognuno di noi che è meglio farsi giustizia da soli. Mi fermo qui, come quotidiano post chilometrico mi accontento di questo. Sul resto dell’articolo del prof. Serpentini (molto interessante stavolta, complimenti), proverò ad intervenire successivamente.
@ Santacruz. Scrivo con cognizione di causa e per esperienza diretta. Ascolto diverse persone che hanno avuto esperienze negative con avvocati. Se ha subìto o subisce ingiustizie ci possiamo confrontare. Se deve difendere a prescindere una categoria che in questo momento storico personalmente (fatte le dovute eccezioni) non stimo e le mie considerazioni le ritiene devianti (!?) più che è libero di farlo non so cosa dirle. Grazie per la considerazione.
Sig. Pino, ho motivato con considerazioni preliminari ampiamente dettagliate la mia non condivisione delle sue opinioni, pertanto sommessamente contesto la sua asserzione secondo cui il mio commento sarebbe una difesa degli avvocati e dei magistrati “a prescindere” (l’avrebbe, nel caso, potuto ipotizzare se il mio post fosse stato scritto da chi è portatore di interessi diretti, ma io, come ho già detto, non appartengo a nessuna delle due categorie facendo tutt’altro nella vita). Specificando che il suo intervento nasce da sensazioni negative nascenti da ciò che ha vissuto in prima persona o che hanno vissuto cittadini che conosce, lei conferma (per come la vedo io ovviamente) la scarsa, se non nulla, attinenza con la realtà – o quantomeno con la generale e più diffusa realtà – dei suoi punti di vista. Diversamente, sarebbe come se i dubbi ricompresi in questo articolo (risolvibili attraverso tesi di natura tecnico-giuridica che spero di poter umilmente esporre in un successivo post) il prof. Serpentini li avesse sollevati sulla scorta di esperienze personalissime, anziché prendendo ad esempio le documentate, numerosissime incongruenze – qualcuna reale, altre spiegabili come ho sopra scritto tra parentesi – verificatesi su scala nazionale. Tutto ciò, sig. Pino, senza nulla togliere sia al diritto di chiunque di esprimere liberamente le proprie idee, sia al rispetto della scelta di ognuno di noi di assumersi le responsabilità per quello che dice pubblicamente. P.S. – nel suo primo post 22 luglio, ore 14.02, mi ha colpito molto, sig. Pino, l’auspicio che ha rivolto al prof. Serpentini di poter leggere un articolo nientemeno “indagatorio” (termine che peraltro non mi risulta esista, forse voleva dire “indagatore”) sulla realtà teramana non dei fruttivendoli, ma evidentemente degli avvocati. Tanto è lo scompenso di non riuscire ad immaginare neanche minimamente il perché di questo suo desiderio, che i miei pensieri viaggiano da soli al punto da accomunare due cose senza nesso fra loro, ovvero la presunzione che il prof. Serpentini non l’accontenterà ed il detto “è facile fare il frocio con il culo degli altri” (chiedo venia per la volgarità, ma d’altronde si tratta di quanto letteralmente mi ronza in testa). Sa, sig. Pino, ogni tanto il mio cervello si spegne e vado fuori tema… Sarà accaduto anche in questo caso. Sicuramente.
anche i giudici sono uomini. non siamo tutti uguali. dellla mia esperienza personale, in un processo civile a Teramo, voglio solo raccontare una chicca: per difendermi da accuse assurde e provare maggiormente la mia tesi avevo preparato molta documentazione; il giudice bell'e pacioso mi ha risposto papele papele: "mica posso leggermi tutta questa carta per voi!"..... azz.....viva la giustizia teramana!!!!
Mi ha fatto piacere leggere questo articolo e gli aneddoti che Lei ha raccontato ai teramani di oggi su nomi e persone, a me "familiari", che per molti anni hanno avuto un ruolo di primo piano nelle vicende giudiziarie della Teramo di ieri; Persone e nomi su cui non sta a me dare un giudizio, positivo o negativo che sia, la cui voce è ancora abbastanza chiara e forte da poter rispondere del loro agire senza il mio aiuto. Massimo Cecchini...Junior