Non ho mai stimato il Presidente della Camera di Commercio di Teramo Giustino Di Carlantonio perché lo ritengo un conservatore e non un innovatore, uno che naviga a vista e non uno dalle larghe vedute.
E poi, come ho già scritto due mesi or sono (www.iduepunti.it/francia/11_giugno_2012/leggetecome-termovalorizzare-gli-affari-teramo), uno che è socio di Paolo Tancredi per me non merita nessun apprezzamento.
Ciò premesso, non mi piace per niente quello che Di Carlantonio e le associazioni imprenditoriali teramane (Confindustria, Ance, Api, Confcommercio, Confesercenti, Cna e Casartigiani) hanno scritto a Chiodi, e cioè in buona sostanza che non vogliono che la Provincia di Teramo venga incorporata a seguito della conversione in legge del decreto sulla Spending review.
In primo luogo è puerile chiedere a Chiodi ciò di cui Chiodi non può disporre: il potere di decidere in materia.
In secondo luogo è stomachevole questo pianto delle prefiche, queste lamentazioni inutili e vane.
Gli imprenditori si preoccupano del fatto che l’accorpamento della Provincia possa penalizzare il tessuto produttivo locale con ripercussioni su tutto il territorio provinciale.
“La preoccupazione è che tale riforma determini, in via definitiva, la perdita di un effettivo ruolo di Teramo e della sua provincia nel contesto regionale, tanto che, già da tempo, lo stato centrale ha privato la città capoluogo di numerose strutture operanti a livello provinciale, contribuendo ad un evidente ridimensionamento di questa città e del suo territorio”.
Le associazioni imprenditoriali rifiutano la “fusione per incorporazione” che Teramo dovrà subire (quasi certamente con Pescara), la quale determinerebbe “un annientamento delle radici storico-culturali di un nucleo abitativo tra i più antichi d’Abruzzo”. “Saremo costretti, ancora una volta, ad assistere passivamente ad un trasferimento di potenzialità, servizi e conseguenti utilità presso altri lidi, restando inermi di fronte ad un copione visto più volte, con chiusure di uffici, trasferimento di personale, perdita di indotto con conseguente calo verticale di ricchezza, investimenti, posti di lavoro”.
In definitiva, chiedono di “salvaguardare le prerogative del nostro territorio provinciale e della città di Teramo”.
Non si capisce se il Governo ce l’abbia proprio con Teramo e, in tal caso, se non sia opportuno presentare un disegno di legge che esenti Teramo e la sua Provincia da qualsivoglia ingerenza legislativa.
Perché se la Toscana e l’Emilia-Romagna perderanno quasi tutte le province a noi non importa niente, ma l’“annientamento delle radici storico-culturali di un nucleo abitativo tra i più antichi d’Abruzzo”, beh questo non possiamo permetterlo.
Andiamo al sodo: chiudere la Provincia significherà perdere la Prefettura, la Questura, l’Agenzia delle Entrate, l’INPS, il Tribunale, ecc., ecc.
E allora? È forse colpa del Governo se Teramo ha una popolazione oggi non più sufficiente per rendere produttiva la presenza di Enti ed Uffici?
Se in un futuro ipotetico Giulianova o Roseto raggiungessero una popolazione di 200mila abitanti cosa faremmo, invocheremmo la storia per vietare il passaggio dello scettro di capoluogo?
Ostia è una frazione di Roma abitata da mezzo milione di persone, cosa dovrebbe fare invocare la trasformazione in Comune e pure in Provincia?
Gli imprenditori credono di poter fermare la Storia?
Di Carlantonio crede che la presenza di uffici e servizi sia sufficiente per la conservazione del tessuto produttivo?
Pare al contrario che la presenza della Provincia e della Prefettura non abbia ad oggi impedito l’aumento esponenziale delle ore di cassa integrazione e la moria di centinaia di aziende nel teramano.
O pensiamo possibile un futuro provinciale grazie ai trasferimenti statali?
Teramo è vittima della stessa sorte subita da centinaia di altre realtà in tutto il mondo nel corso della storia millenaria dell’umanità: il declino.
Montorio al Vomano e tutta la montagna teramana subiscono da decenni lo stesso destino di decadenza, e nessuno potrà impedire a Poste Italiane di tagliare gli uffici periferici improduttivi, mossa che acuirà ancora di più lo spopolamento dei piccoli Comuni.
Allo stesso modo, il piccolo commercio subisce da lustri la concorrenza dei grandi centri commerciali, risultandone sempre perdente e recessivo.
Mi fanno pena queste associazioni di categoria che vivono fuori dal mondo e pensano di sopravvivere con gli aiuti di Stato.
Che pensino ad essere produttivi piuttosto, come per esempio il comparto vitivinicolo nel quale le aziende abruzzesi esportano all’estero con percentuali di crescita doppie rispetto e quelle di tutte le altre regioni italiane, segno che sono brave a produrre e a commercializzare i loro prodotti.
O come alla Amadori di Mosciano, dove pochi giorni fa hanno formalizzato 28 nuovi posti a tempo indeterminato e 50 nuovi operai stagionali.
Se Teramo e la sua ex Provincia avranno un futuro, sarà quello che i suoi abitanti e le sue forze produttive saranno riusciti a costruire, non certo la presenza dell’inutile Prefettura o di qualche decina di posti pubblici che rappresentano un costo per la collettività ben maggiore dei servizi che riceve in cambio.
Gli imprenditori si rimbocchino le maniche e la smettano di piagnucolare, trovino nel proprio talento le ragioni di una nuova futura prosperità, invece di sperare di continuare a mungere le mammelle pubbliche, che non hanno più una stilla di latte per nessuno.
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