"Anche il chiodo ha una testa, però non ci ragiona: la stessa cosa capita a più d'una persona".
Parole di Gianni Rodari. Parole che rimugino spesso quando penso a Gianni Chiodi, che di Rodari ha il nome ma non la testa.
Inevitabile il parallelismo con Chiodi se si parla del politico Befacchia, poichè egli fu il grande sconfitto alle elezioni comunali di Teramo del 2004, quando ebbe inizio l'era Chiodi, meglio conosciuta come "Modello Teramo".
E si deve ricordare come in quella campagna elettorale l'errore del centrosinistra fu strategico: Chiodi partiva con una investitura di gran lunga precedente quella di Befacchia, che pure fece breccia e giunse ad un passo dalla vittoria.
Meglio nascere fortunati che figli di re, e il professore politicamente non è certo stato fortunato.
Alle successive elezioni del 2009 Befacchia era un colonnello ma non il generale, eppure il vento della sconfitta lo ha travolto con ancora maggiore veemenza.
Con ogni probabilità la sua carriera in consiglio comunale si conclude con la sua lettera di dimissioni, splendida e crudele, che si conclude con un terrifico anatema: "Mi sia concesso di formulare l'augurio alla mia città; che con un sussulto di orgoglio e di amore i giovani di Teramo, riscoprano i sentimenti civili, di libertà e di patria, che guidarono gli Orsini e i Capuani e quanti riscattarono con gesta eroiche un ventennio di inerzia e di rassegnazione, per avviare una rinascita morale della città, senza la quale la precarietà grigia del presente fluirà irreversibile verso la decadenza del domani".
Destino cinico e baro: Befacchia ha incarnato una idea di amministrazione alta, forbita, mite, elegante, nobile, colta, una idea lontana dall'immaginario collettivo dei cittadini, incarnato dal commercialista giovane e bello che ha poi sedotto anche Berlusconi all'atto della candidatura a governatore.
Befacchia è stato l'uomo giusto al momento sbagliato, colui che le circostanze hanno costretto a recitare la parte del perdente. E il perdente è il ruolo più bello, quello che rappresenta la cifra dell'umano, destinato geneticamente alla morte.
Il fallimento del professore racchiude in sè la storia di Ettore, l'eroe dei troiani, l'eroe sconfitto.
Nonostante l'Iliade sia stata scritta per celebrare i greci, Omero si innamora del nemico e il suo poema si tramuta da monumento ai vincitori a celebrazione dei vinti.
Il metro della vittoria non può essere l'unico parametro di giudizio, anzi, esso è subordinato ai valori della patria e della famiglia, che pongono Ettore su di un gradino più alto perfino di quello di Ulisse.
Chiodi ha rappresentato Ulisse, furbo, scaltro, diplomatico, manipolatore, al passo con i tempi che ha saputo interpretare.
Befacchia rimarrà sempre come lo struzzo della casa editrice Einaudi, colto nell'atto di ingoiare un chiodo con attorno il motto: "spiritus durissima coquit", cioè letteralmente “lo spirito digerisce anche le cose più dure”, a rappresentare una volontà capace di digerire anche i chiodi.
Befacchia i suoi chiodi li ha già digeriti, ai teramani resta il rammarico di avere perso una guida sicura mentre Ulisse si prepara all'ennesima fuga verso gli scranni di Roma.
Noi i nostri Chiodi ancora ce li abbiamo sullo stomaco.
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