Devo dirmi favorevolmente sorpreso dalla iniziativa della costituzione del "Comitato Nazionale Tecnico Scientifico per il NO ai referendum sui servizi pubblici locali e tariffa dell’acqua" (www.acquabenepubblico.it/ ).
Non solo tale comitato parla teramano, poichè presidente ne è l'avvocato Walter Mazzitti, ma oltre a numerosi e prestigiosi componenti di caratura accademica, vi figura anche un altro illustre concittadino: il prof. Vincenzo Cerulli Irelli.
Teramo diviene la capitale italiana del NO all'acqua pubblica e, quindi, del SI alla privatizzazione.
Quasi scontato, se dovesse raggiungersi il quorum, che vincerà il SI, specie dopo il record di firme raccolte per la presentazione del referendum.
Ma andando al cuore della questione, c'è da rilevare come non poche ragioni depongano in favore del Comitato:
1) l'acqua e le reti idriche rimarranno pubbliche;
2) una Autorità, svincolata dal potere politico, stabilirà le tariffe, vigilerà sulla qualità del servizio e controllerà i gestori, pubblici o privati che siano, difendendo gli interessi dei cittadini utenti;
3) la gestione dell'acqua fino ad oggi è stata un monopolio delle caste della politica locale o delle mafie, infatti in Italia le condotte sono vecchie, mancano i depuratori e le reti sono inefficienti; tutto questo è il lascito del sistema di gestione pubblica che il referendum vuole salvare, ammazzando sul nascere la riforma di liberalizzazione;
4) per sistemare le reti e rendere l'acqua pubblica una vera alternativa a quella minerale e accessibile a tutti servono 65 miliardi di euro che, se vincesse il SI, uscirebbero dalle tasche dei cittadini con nuove tasse o con tagli ai servizi essenziali come la scuola, la sanità, la giustizia;
5) il referendum è un «salva casta» poichè il SI, di fatto, salverebbe ben 6.000 consigli di amministrazione di società di gestione idrica sparse nel paese, composti spesso da politici trombati e riciclati che fino ad ora sono stati capaci soltanto di percepire prebende, hanno speso le risorse pubbliche non per rendere efficiente il sistema, ma per dare consulenze e per assumere autisti e uscieri, sempre scelti fra parenti o amici;
6) non si tratta di una privatizzazione, ma semplicemente di una liberalizzazione che consentirà una vera e propria industrializzazione del sistema, per renderlo più efficiente, per diminuire la dispersione d'acqua e garantire l'accesso a tutti di un bene anche di maggiore qualità, poichè sprechiamo ogni anno 2,5 miliardi di euro d'acqua, quindi o si avvia il processo di industrializzazione coinvolgendo i privati in grado di partecipare con adeguate risorse finanziarie e capacità manageriali, oppure avremmo solo maggiori costi, nuove tasse e servizi ancora più scadenti.
Se pensiamo al Ruzzo, non c'è dubbio che questi argomenti siano molto convincenti.
Eppure l'esperienza ci dice che la gestione dei rifiuti, ad esempio, è stata privatizzata e ciò non ha impedito che si creasse un cortocircuito fra pubblico e privato che ricade costantemente sulle spalle dei cittadini con continui aumenti delle tariffe (+14% quest'anno a Teramo) e costi di gestione esorbitanti ed incontrollabili.
La morale è semplice: che la gestione sia pubblica o privata, la politica trova sempre il mezzo per scaricare i costi sugli utenti ed ingrassare se stessa ed il sottobosco di clienti e questuanti, quindi questi due referendum in sostanza non servono a niente, almeno fino a quando gli italiani e i teramani non la smetteranno di voler "piazzare" un figlio al Ruzzo oppure alla Te.Am., alimentando una corruttela endemica.
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