Sono da sempre un critico del Gianni Chiodi pubblico, sia in quanto delfino designato da Antonio Tancredi, sia come sindaco del tramonto teramano (Brucchi è il becchino della città è l’ipogeo ne è la tomba), sia come governatore del tramonto dell’Abruzzo.
Ma le dichiarazioni rilasciate da Chiodi con riferimento alle condizioni finanziarie della Banca Tercas sono tanto inattese quanto sorprendenti.
Leggiamo le parole del governatore-commercialista: “Dal 2006 un miliardo di euro di crediti è stato erogato fuori regione. Buona parte di questi non sarebbero recuperabili, ed è come se fossero titoli tossici (…) Nel 2005 la Tercas era solida e liquida, c’è stata poi una strategia di depauperamento non fatta da una sola persona. Il direttore Antonio Di Matteo, infatti non avrebbe potuto fare da solo, ma aveva evidentemente persone nei punti nevralgici dirigenziali per attuare queste operazioni. Il CdA e il collegio sindacale potrebbero essere stati quindi tratti in inganno”.
L’equazione che viene fuori dal ragionamento di Chiodi è preoccupante: se la Tercas SpA stava bene ed è crollata durante la gestione di un CdA nel quale sedeva Antonio Forlini, cosa potrà succedere alla Ruzzo SpA, che già si trova malissimo, con la presidenza dello stesso Forlini? C’è da preoccuparsi molto.
Infatti, delle due l’una: o Forlini è bravo ed è stato tratto suo malgrado in inganno, ragione per la quale potrebbe accadere la medesima cosa al Ruzzo; oppure è stato tratto in inganno per proprie colpe ed incapacità, e con quello stesso bagaglio si presenta a dirigere in prima persona un’azienda devastata dai debiti come il Ruzzo (nemmeno voglio prendere in considerazione l’ipotesi che Forlini favoreggiasse i depauperatori della Tercas di cui parla Chiodi).
E se è vero che la legge consente formalmente a chi abbia mal gestito una società pubblica di continuare a gestirne altre, è parimenti vero che:
1) Antonio Forlini è stato gravemente sanzionato dalla Banca d’Italia per numerose e gravi violazioni compiute in qualità di Consigliere di Amministrazione della Tercas, violazioni che vanno dalla “carenza nell’organizzazione e nei controlli interni da parte dei componenti del disciolto CdA”, alla carenza “nel governo, gestione e controllo del credito da parte sempre del board”, passando pure per la sanzione delle “posizioni ad andamento anomalo e previsioni di perdite non segnalate all’O.d.V. (Organismo di Vigilanza) da parte dei componenti dei disciolti CdA e Collegio sindacale”.
Per tali gravi violazioni la Banca d’Italia ha comminato una sanzione che per il solo Antonio Forlini è stata quantificata in € 90.000,00.
Qualcuno affiderebbe ad un uomo che porta una simile medaglia sul petto il ruolo delicatissimo di risanare la moribonda società pubblica Ruzzo S.p.A.? Io no. Ma la politica si.
2) La legge finanziaria per il 2007 (L. n. 296/2006), all’art. 1 comma 734, significativamente rubricato “Amministratori di enti pubblici o a partecipazione pubblica”, prescrive che “Non può essere nominato amministratore di ente, istituzione, azienda pubblica, società a totale o parziale capitale pubblico chi, avendo ricoperto nei cinque anni precedenti incarichi analoghi, abbia chiuso in perdita tre esercizi consecutivi”.
Ebbene, se è vero che la Tercas era in attivo fino al 2010 ed ha chiuso in perdita il solo esercizio 2011, è altrettanto vero che ad aprile 2012 la banca è stata commissariata per “gravi irregolarità e violazioni normative”.
Ragioni per le quali se Antonio Forlini, da anni componente del CdA Tercas, era formalmente nominabile Presidente del Ruzzo, appariva quantomeno inopportuno che uno dei responsabili del disastro Tercas fosse nominato a risanare il disastro Ruzzo.
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