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"Mi hanno violentata e picchiata"...non chiudete La Fenice

di Giancarlo Falconi
3 minuti

Ho fatto il carabiniere a Napoli. Ho ascoltato e scritto mille storie di povertà, di quel disagio unto dalla disperazione, ma di fronte all'ennesima violenza in famiglia, a quel pugno che uccide due volte, a quel sesso senza nulla ma rinchiuso nel freddo dell'oblio, allargo le braccia e mi avvolgo.

Che significa essere donna? Non lo so. Non sono all'altezza di un simil pensiero che sfiora la vita e l'anima. Parlo di poesia ma non so raccontare la poesia.
Conosco le donne della mia famiglia da sempre e le definisco eroine. Conosco molte donne nella vita e ne sento forza e coscienza.

Alda Merini scriveva..." Una stampella d'oro per arrivare al cielo, le donne inseguono l'amore. Qualche volta, amica mia, ti sembra quasi di volare, ma gli uomini non sono angeli.
Voi piangete al loro posto, per questo vi hanno scelte, nascondete il volto perché il dolore splende.
Un mistero che mai, riusciremo a capire se nella vita ci si perde non finirà la musica
".

La verità è di una mia nuova amica, che mi ha raccontato della violenza, di quel uomo che amava, di quel uomo che la picchiava, di quel uomo che la violentava, di quel uomo che la ricattava, di quel uomo che la minacciava, del processo, della paura, della luce, che in fondo al tunnel si chiama La Fenice.
Il centro di ascolto e antiviolenza di Teramo, che sta seguendo la tragica fine di Teramo Lavoro.

Gli ultimi dati... forniti dal CPO di Teramo.

"Per le donne tra i 15 e i 44 anni la violenza è la prima causa di morte e di invalidità: ancor più del cancro, della malaria, degli incidenti stradali e persino della guerra. E' dentro le mura domestiche, ad opera di mariti, patners e familiari, che si consumano i drammi più dolorosi, nella maggior parte dei casi in silenzio.
 Le donne hanno paura di denunciare (il 90% non lo fa), non si fidano, si vergognano, pensano di non essere credute e hanno poca fiducia nelle istituzioni.
Soltanto il 7,4% di quelle che hanno subito uno stupro lo ha denunciato. Un terzo, poi, non parla mai delle violenze subite. Nasconde il fatto e va avanti. Le altre, quelle che decidono di raccontarlo, si confidano quasi sempre con un familiare o un amico.Per aiutare le donne a rinascere dalle ceneri della violenza è nato il Centro "La Fenice".
Il servizio è gratuito e garantisce l'anonimato. Il Centro accoglie donne di tutte le età, italiane ed immigrate, vittime di ogni forma di sopruso in famiglia, nel posto di lavoro, nella società.
I servizi offerti sono:sostegno nel percorso di uscita dalla violenza, consulenza psicologica, consulenza e assistenza legale, mediazione culturale e aiuto alle donne immigrate
".

Teramo non può perdere l'ultimo baluardo di civiltà e di amor proprio. Tutti con la Fenice...il cuore di una nuova vita.

 

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Commenti

Grazie per come mi hai ascoltata. Non è vero che non sai di donne. Ti assicuro. Non mi hai giudicata, indicata, il tuo silenzio e i tuoi occhi aiuterebbero chiunque. Grazie.
Grazie Giancarlo, a nome di tutte le donne,ma anche di tutti gli uomini che hanno la tua sensibilità!
Buon giorno,devo dire che questo articolo è molto toccante. Purtroppo di queste violenze fisiche e spicologiche nei confronti delle donne sono all'ordine del giorno e lo stesso stolking causa danni a volte irreparabili.Volevo parlare proprio di questo perchè ci sono donne e io ne conosco una,che si rivolgono alle autorità per denunciare le continue pressioni del loro ex,e vengono quasi derise specialmente se sono straniere.Ora mi chiedo:quante donne devono ancora morire affinchè si faccia qualcosa subito!!!!!!!!!!!! Forse dobbiamo farci giustizia da sole? A volte penso di si....io ho due figli maschi e mi auguro che un giorno diventino non solo uomini liberi e onesti, ma sopratutto uomini che amino le proprie donne come la loro stessa vita.L'amore quello vero non conosce violenza ma solo rispetto.Auguro alla tua amica Giancarlo,di risorgere come la Fenice dalle ceneri, più forte e sicura di se stessa.
Dobbiamo difendere le donne dalla violenza che si nutre di una discriminazione che contribuisce a perpetuarla.I supplizi inflitti alle donne affondano le proprie radici in una cultura universale,anche religiosa,che nega la parita' dei diritti e considera legittimo appropriarsi con la forza (fisica e psicologica)per il piacere degli uomini o per fini politici.
  Lo stupro    C’è una radio che suona... ma solo dopo un po’ la sento. Solo dopo un po’ mi rendo conto che c’è qualcuno che canta. Sì, è una radio. Musica leggera: cielo stelle cuore amore... amore...      Ho un ginocchio, uno solo, piantato nella schiena... come se chi mi sta dietro tenesse l’altro appoggiato per terra... con le mani tiene le mie, forte, girandomele all’incontrario. La sinistra in particolare.      Non so perché, mi ritrovo a pensare che forse è mancino. Non sto capendo niente di quello che mi sta capitando.      Ho lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello, la voce... la parola. Prendo coscienza delle cose, con incredibile lentezza... Dio che confusione! Come sono salìta su questo camioncino? Ho alzato le gambe io, una dopo l’altra dietro la loro spinta o mi hanno caricata loro, sollevandomi di peso?      Non lo so.      È il cuore, che mi sbatte così forte contro le costole, ad impedirmi di ragionare... è il male alla mano sinistra, che sta diventando davvero insopportabile. Perché me la storcono tanto? Io non tento nessun movimento. Sono come congelata.      Ora, quello che mi sta dietro non tiene più il suo ginocchio contro la mia schiena... s’è seduto comodo... e mi tiene tra le sue gambe... fortemente... dal di dietro... come si faceva anni fa, quando si toglievano le tonsille ai bambini.      L’immagine che mi viene in mente è quella. Perché mi stringono tanto? Io non mi muovo, non urlo, sono senza voce. Non capisco cosa mi stia capitando. La radio canta, neanche tanto forte. Perché la musica? Perché l’abbassano? Forse è perché non grido.      Oltre a quello che mi tiene, ce ne sono altri tre. Li guardo: non c’è molta luce... né gran spazio... forse è per questo che mi tengono semidistesa. Li sento calmi. Sicurissimi. Che fanno? Si stanno accendendo una sigaretta.      Fumano? Adesso? Perché mi tengono così e fumano?      Sta per succedere qualche cosa, lo sento... Respiro a fondo... due, tre volte. Non, non mi snebbio... Ho solo paura...      Ora uno mi si avvicina, un altro si accuccia alla mia destra, l’altro a sinistra. Vedo il rosso delle sigarette. Stanno aspirando profondamente.      Sono vicinissimi.      Sì, sta per succedere qualche cosa... lo sento.      Quello che mi tiene da dietro, tende tutti i muscoli... li sento intorno al mio corpo. Non ha aumentato la stretta, ha solo teso i muscoli, come ad essere pronto a tenermi più ferma. Il primo che si era mosso, mi si mette tra le gambe... in ginocchio... divaricandomele. È un movimento preciso, che pare concordato con quello che mi tiene da dietro, perché subito i suoi piedi si mettono sopra ai miei a bloccarmi.      Io ho su i pantaloni. Perché mi aprono le gambe con su i pantaloni? Mi sento peggio che se fossi nuda!      Da questa sensazione mi distrae un qualche cosa che subito non individuo... un calore, prima tenue e poi più forte, fino a diventare insopportabile, sul seno sinistro.      Una punta di bruciore. Le sigarette... sopra al golf fino ad arrivare alla pelle.      Mi scopro a pensare cosa dovrebbe fare una persona in queste condizioni. Io non riesco a fare niente, né a parlare né a piangere... Mi sento come proiettata fuori, affacciata a una finestra, costretta a guardare qualche cosa di orribile.      Quello accucciato alla mia destra accende le sigarette, fa due tiri e poi le passa a quello che mi sta tra le gambe. Si consumano presto.      Il puzzo della lana bruciata deve disturbare i quattro: con una lametta mi tagliano il golf, davanti, per il lungo... mi tagliano anche il reggiseno... mi tagliano anche la pelle in superficie. Nella perizia medica misureranno ventun centimetri. Quello che mi sta tra le gambe, in ginocchio, mi prende i seni a piene mani, le sento gelide sopra le bruciature...      Ora... mi aprono la cerniera dei pantaloni e tutti si dànno da fare per spogliarmi: una scarpa sola, una gamba sola.      Quello che mi tiene da dietro si sta eccitando, sento che si struscia contro la mia schiena.      Ora quello che mi sta tra le gambe mi entra dentro. Mi viene da vomitare.      Devo stare calma, calma.      “Muoviti, puttana. Fammi godere”. Io mi concentro sulle parole delle canzoni; il cuore mi si sta spaccando, non voglio uscire dalla confusione che ho. Non voglio capire. Non capisco nessuna parola... non conosco nessuna lingua. Altra sigaretta.      “Muoviti puttana fammi godere”.      Sono di pietra.      Ora è il turno del secondo... i suoi colpi sono ancora più decisi. Sento un gran male.      “Muoviti puttana fammi godere”.      La lametta che è servita per tagliarmi il golf mi passa più volte sulla faccia. Non sento se mi taglia o no.      “Muoviti, puttana. Fammi godere”.      Il sangue mi cola dalle guance alle orecchie.      È il turno del terzo. È orribile sentirti godere dentro, delle bestie schifose.      “Sto morendo, – riesco a dire, – sono ammalata di cuore”.      Ci credono, non ci credono, si litigano.      “Facciamola scendere. No... sì...” Vola un ceffone tra di loro. Mi schiacciano una sigaretta sul collo, qui, tanto da spegnerla. Ecco, lì, credo di essere finalmente svenuta.      Poi sento che mi muovono. Quello che mi teneva da dietro mi riveste con movimenti precisi. Mi riveste lui, io servo a poco. Si lamenta come un bambino perché è l’unico che non abbia fatto l’amore... pardon... l’unico, che non si sia aperto i pantaloni, ma sento la sua fretta, la sua paura. Non sa come metterla col golf tagliato, mi infila i due lembi nei pantaloni. Il camioncino si ferma per il tempo di farmi scendere... e se ne va.      Tengo con la mano destra la giacca chiusa sui seni scoperti. È quasi scuro. Dove sono? Al parco. Mi sento male... nel senso che mi sento svenire... non solo per il dolore fisico in tutto il corpo, ma per lo schifo... per l’umiliazione... per le mille sputate che ho ricevuto nel cervello... per lo sperma che mi sento uscire. Appoggio la testa a un albero... mi fanno male anche i capelli... me li tiravano per tenermi ferma la testa. Mi passo la mano sulla faccia... è sporca di sangue. Alzo il collo della giacca.      Cammino... cammino non so per quanto tempo. Senza accorgermi, mi trovo davanti alla Questura.      Appoggiata al muro del palazzo di fronte, la sto a guardare per un bel pezzo. Penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora... Sento le loro domande. Vedo le loro facce... i loro mezzi sorrisi... Penso e ci ripenso... Poi mi decido...      Torno a casa... torno a casa... Li denuncerò domani. Franca Rame, monologo Lo Stupro Era il 9 marzo del 1973, giorno in cui Franca Rame fu aggredita da 5 neofascisti. Questi la portarono su un furgoncino e la violentarono, lasciandola poi sulla strada in uno stato di totale confusione mentale. La violenza fu raccontata dall’attrice attraverso il monologo “Lo stupro”, senza dichiarare di averla vissuta personalmente, dichiarazione che fece solo nel 1987. La stessa Franca Rame spiega che per lei quell’evento fu così angosciante che non riuscì a parlarne per due anni nè alle persone più care e a lei vicine né alle forze di polizia e al tribunale. (cit) Passano generazioni di donne ed ancora bisogna difendere il loro diritto di poter essere ascoltate.