Martedì sera erano circa le otto quando sono entrata in pronto soccorso, a Teramo, per accompagnare mia figlia.
Siamo state subito dirottate in pediatria, ma nei pochi minuti che ho trascorso in accettazione non ho potuto fare a meno di notare un anziano in barella parcheggiato nell'angolo di fronte all'ingresso. Sarà lì momentaneamente, mi sono detta, lo staranno trasportando altrove.
Dopo un'ora e mezza, invece, nulla era cambiato; non so dire cosa fosse accaduto nel frattempo, il fatto certo è che lui era ancora lì e rantolava penosamente.
Non era quello che si definisce "un distinto signore anziano", ma un vecchietto dall'aspetto dimesso, gracile e con pochi denti, uno di quelli che mi porterei a casa per farmi raccontare dei suoi tempi davanti al camino acceso. Evidentemente nessuna corsia preferenziale per quelli come lui.
Sono rimasta nell'ingresso per circa quaranta minuti, in attesa che qualcuno decidesse di firmare la dimissione di mia figlia e nel frattempo nessuno si è avvicinato a lui, nessuno sembrava minimamente registrare la sua esistenza.
Sono andata via chiedendomi per quanto ancora sarebbe restato lì, esposto agli sguardi di chiunque ma senza il conforto di una presenza.
Ero sconcertata, triste, furibonda e lo sono ancora. Come si può avere così poco rispetto per la sofferenza, per la dignità della persona, per il diritto alla privacy?... Mentre come paradosso estremo sul pavimento dell'accettazione un adesivo indica il limite da non superare per non essere indiscreti...
Fabrizia Valente
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