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SBLOCCA ITALIA, LA REGIONE ABRUZZO RICORRA ALLA CORTE COSTITUZIONALE

di Giancarlo Falconi
9 minuti

Mario MAZZOCCA, Assessore all’Ambiente della Regione Abruzzo (SEL): “L'Abruzzo non è e non sarà mai trasformato in un distretto minerario …Faremo tutto quanto in nostro potere, andando se del caso anche oltre le nostre strette competenze, per difendere il sistema ambientale abruzzese e il processo di sviluppo sostenibile che stiamo riattivando, e lo faremo solo con atti concreti sia dal punto di vista amministrativo che politico". Bene!

http://www.ansa.it/abruzzo/notizie/2014/07/25/regione-abruzzo-ricorre-per-ombrina-mare_5a2bd719-64d3-4082-9cb6-2e7f0525d620.html

Luciano MONTICELLI, Consigliere Regionale Abruzzo, Delegato Affari Demaniali dell’Associazione Nazionale Comuni d’Italia e già Sindaco di Pineto (PD, renziano della prim’ora): "Noi sindaci non possiamo più subire scelte che arrivano dall’alto e che incidono pesantemente sulle nostre comunità né possiamo rimanere impassibili di fronte allo scempio che si prospetta per territori ad alta vocazione turistica e dove l’agricoltura lavora da anni per produzioni di alta qualità". Bravo!

http://www.mondobalneare.com/news/1032/estrazione-petrolio-adriatico-in-svendita-5-euro-al-km-quadrato.html

L’altro Luciano, D’ALFONSO, prima e durante tutta la campagna elettorale ha giurato fedeltà all’Abruzzo Regione Verde d’Europa (verde dalla rabbia) e non all'Abruzzo Distretto Minerario della S.E.N. 

Infine, il 22 settembre a Sulmona, così tuonava BIG LUCIANO: “Non vogliamo perdere in maniera irrimediabile le bellezze dei nostri territori e del nostro ambiente, né vogliamo che si stabilisca un livello tale di rigidità nel sopra suolo e nel sottosuolo che faccia perdere bellezza a questo ambiente. Vogliamo che lo Stato non ci consideri dei camerieri". Bis!

http://www.regioni.it/it/show-gasdottodalfonso_a_sulmonanon_vogliamo_perdere_lambiente_governatore_allassemblea_del_coordinamento_no_tubo____/news.php?id=365756

Del territorio della Regione Abruzzo, oltre 4.200 kmq. sono interessati da istanze di permessi di ricerca; quasi 36 kmq. da richieste di estrazione di idrocarburi; oltre 1.000 kmq. da istanze di concessione di stoccaggio, per complessivi 10.763 kmq. In realtà il conto potrebbe essere più salato: le compagnie che oggi detengono un titolo per la sola ricerca su terra ferma potrebbero richiedere la concessione del titolo unico previsto nello Sblocca-Italia, con tutte le ricadute del caso.

E a mare? Sono in dirittura d’arrivo Ombrina Mare 2, Elsa 2, Rospo Mare 2 (procedimenti in corso per la coltivazione). Senza contare le numerose altre istanze di ricerca pronte per essere trasformate in altrettanti permessi di estrazione. 
E poi il TAP, il grande "tubo" con annessa centrale di compressione gas a Sulmona.

Carissimi, dopo tanto straparlare volete darvi una mossa?

Lo Sblocca-Italia viaggia a vele spiegate verso la conversione in legge. Oltre agli appelli, alle dichiarazioni di guerra (ma solo verbali) ed alla moral suasion, cosa intende fare in concreto la Regione Abruzzo? 
Si avvia a seguire il pessimo esempio della Regione Puglia “invitando il Governo” a riflettere sul rapporto Stato-Regioni-Autonomie Locali come fossimo ad un convegno dell’Anci? 

Sapete che ci fa Renzi di appelli ed inviti?

V’è una sola strada da percorrere: adire la Corte Costituzionale contro la legge di conversione dello Sblocca-Italia. 
Alla legge manca poco: Renzi è una scheggia e non perde tempo in dialoghi e trattative. Gli elementi per un mega ricorso ci sono tutti: li mettiamo fin d’ora, a chiare lettere, in fondo al comunicato così nessuno domani potrà dire di non aver capito o che non si poteva fare.

Vi date una mossa oppure no?

Coordinamento Nazionale NO TRIV - Sezione Abruzzo

All.to

Dall’intervista di Pietro Dommarco al Prof. Enzo Di Salvatore (da “Altraeconomia”)
http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=4816

Ha parlato di illegittimità. Per quale passaggio del decreto?

I dubbi sono molti: la previsione di un “titolo concessorio unico” in luogo di due titoli distinti (permesso di ricerca e concessione di coltivazione); l’estromissione degli Enti locali dal procedimento amministrativo che porta al rilascio del “titolo concessorio unico”; il fatto che l’intesa della Regione sia considerata dal decreto – più di quanto non sia accaduto finora – come un atto interno al procedimento amministrativo. I dubbi che la previsione del titolo concessorio unico solleva riguardano il diritto di proprietà dei privati (art. 42 Cost.).

La disciplina dei beni del sottosuolo si è sempre informata alla concezione fondiaria della proprietà. Già il codice civile del 1865 stabiliva che chi ha la proprietà del suolo ha pure quella dello spazio sovrastante e di tutto ciò che si trovi sopra e sotto la superficie.

Secondo questa concezione, confermata dal codice civile del 1942 tuttora vigente, il sottosuolo appartiene al proprietario del fondo fino a quando il giacimento minerario non sia scoperto (e ne sia dichiarata la coltivabilità). Solo a partire da questo momento si ha l’acquisizione del giacimento al patrimonio indisponibile dello Stato.

È a quel punto che lo Stato può dare il giacimento in concessione. In questa prospettiva, il permesso di ricerca si configura come un limite al godimento della proprietà, mentre la concessione è costitutiva di nuove capacità, poteri e diritti che altrimenti non si avrebbero. Vero è che la Costituzione, all’art. 42, ammette che la proprietà privata possa essere espropriata, ma solo per motivi di interesse generale e salvo indennizzo.

Nel caso del rilascio del titolo unico, mancherebbe la dimostrazione dell’utilità generale, non essendo ancora stato scoperto il giacimento. Per questo, nonostante si cerchi di mantenere distinta la fase della ricerca da quella dell’estrazione, la previsione di un titolo unico, che entrambi i “momenti” riunisce, getta un’ombra sulla legittimità di una scelta siffatta.

Tra l’altro, il titolo unico dovrà contenere sin dalla fase della ricerca persino il vincolo preordinato all’esproprio.

Una follia se dovessimo prendere sul serio quanto scritto sul decreto. Resta infine un dubbio anche di compatibilità del decreto con il diritto dell’Unione europea, non solo in relazione alle norme sulla concorrenza, ma anche in relazione al fatto che la normativa dell’Unione mantiene distinte le due fasi.

Un secondo problema riguarda la partecipazione degli Enti locali al procedimento. La legge n. 239 del 2004 aveva riconosciuto loro questo diritto. Successivamente la legge n. 99 del 2009 ha limitato la partecipazione degli Enti locali al procedimento finalizzato al rilascio dell’autorizzazione al pozzo esplorativo, alla costruzione degli impianti e delle infrastrutture connesse alle attività di perforazione.

Ora il decreto sblocca Italia non fa più menzione degli Enti locali. Colgo l’occasione per ricordare che dinanzi al TAR Lazio pende un ricorso avverso un permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi, che verrà discusso il 27 novembre prossimo.

Con il ricorso si chiede al TAR -seppure in via subordinata- di sollevare la questione di legittimità costituzionale della legge n. 99 del 2009, per violazione del principio di leale collaborazione.

Un ultimo dubbio di legittimità concerne, infine, il rilascio dell’intesa da parte della Regione e, cioè, il fatto che il decreto del Governo sembrerebbe richiedere che l’intesa venga rilasciata in conferenza di servizi. Per la verità questa possibilità è già contemplata da tempo, ma nella prassi le singole Regioni hanno sempre rilasciato o negato l’intesa con un atto ad hoc, comunicato al Ministero dello Sviluppo Economico.

Il decreto-legge, invece, parla di “apposita” conferenza di servizi (oltre tutto, in altra sua parte detta una nuova disciplina dell’efficacia degli atti di assenso che devono trovare espressione in seno alla conferenza).

Questa previsione forse è dettata da esigenze di celerità, atteso che il procedimento deve concludersi entro 180 giorni (suppongo a partire dall’istanza presentata dalla società petrolifera). Ma se così fosse, la disposizione sarebbe certamente illegittima, in quanto tende a considerare la partecipazione della Regione al procedimento alla stregua di qualsiasi amministrazione pubblica, chiamata a rilasciare un semplice nulla osta o una mera autorizzazione.

L’intesa della Regione si configura, invece, come atto “politico”, non come atto amministrativo, in quanto si giustifica quale compensazione alla perdita di competenza della Regione dovuta all’attrazione in capo allo Stato della stessa per esigenze di carattere unitario. Basta leggere quello che ha stabilito al riguardo la Corte costituzionale con le sentenze n. 482 del 1991 e n. 283 del 2005: la Regione ha diritto di partecipare alle decisioni assunte in sede statale con l’intesa e, in caso di mancato accordo con lo Stato, potrebbe portare all’attenzione della stessa Corte il problema, provocando un conflitto di attribuzione.

Ma questo presuppone che l’atto della Regione conservi intatta la sua autonomia: se, invece, la Regione si esprimerà in conferenza, l’atto sarà imputato alla conferenza e non alla Regione.

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Il titolo concessorio unico costituisce una cessione di sovranità dello stato in favore dei privati sulle risorse che appartengono al popolo per cui tale cessione deve necessariamente essere il risultato di un procedimento democratico in cui il popolo decide. REFERENDUM