Il silenzio. Si dice che sia d’oro.
Forse una volta lo era. Al tempo d’oggi non è nemmeno d’argento e, se di metallo, non deve trattarsi di un metallo nobile.
Le ragioni del silenzio possono essere tante.
C’è il silenzio di chi non può parlare, c’è il silenzio di chi non vuole parlare.
C’è quello di chi non ha niente da dire e quello di chi ne avrebbe tante di cose da dire che, alla fine, preferisce non dirle.
Ci sono ragioni del silenzio che solo il silenzio, più che l’uso di parole, scritte o dette, può spiegare.
Sono restato in silenzio, per qualche tempo, per qualcuna di queste ragioni sopra elencate, forse per qualche ragione a cui non ho nemmeno accennato.
Ma certo è che Teramo è una città in cui non si distingue più chi parla da chi non parla, e tra coloro che parlano si fa fatica a capire perché lo facciano e ancora di più che cosa vogliono dire e perché.
Così davvero ho creduto che tra parlare o non parlare, tra scrivere o non scrivere non ci fosse poi una grande differenza.
Sento dire ora che molti hanno continuato a dire e a scrivere, ma è come se non avessero continuato, e che di quanti non hanno più detto e scritto nessuno o pochi si siano rammaricati della scelta che hanno fatto.
Sento anche dire che alcuni si propongono di cominciare a scrivere, anche in forma anonima, e mi sovviene che un personaggio di un libro di Sartre si meravigliava, frequentando una biblioteca, che lo scrittore più prolifico al mondo fosse un certo “Anonimo”, che poi non si sapeva nemmeno bene chi fosse.
Teramo, oltre che una città senza memoria e senza più pudore, è anche diventata una città senza più aspirazioni e chi vi soggiorna si adatta come meglio può al “qui giace”. Le ragioni del silenzio sono molteplici e quelle degli uni si confondono con quelle degli altri, perché troppo spesso capita di dover ammettere che anche chi grida e strepita non fa altro che restare in silenzio, alla pari di tutti gli altri che restano muti. Le parole sono ormai così consumate che il loro uso è muto.
A chi e come parlare di “forme sostanziali” e di “entelechie”?
A chi e come parlare di idee semplici e di idee complesse?
A chi e come parlare di sensazione e di riflessione, di spirito e materia? L’astratto e il concreto si inseguono, ma continuano ad odiarsi e ad evitarsi.
Per le strade di Teramo, di notte come di giorno, si aggirano solo fantasmi ai quali a fatica grideremmo all’orecchio: “Nodum quaerere in scirpo”.
Che restino in silenzio o se ne vadano in giro gridando, fa poca differenza. I politici son così poca cosa che non spandono ombra, gli amministratori sono di così poca consistenza che se li porta via il primo venticello del mattino, i giornalisti sono così privi di inchiostro da non avere il coraggio di scrivere usando il proprio sangue.
Così è meglio il silenzio, più eloquente delle parole, considerato che niente è più silenzioso della parola, quando la parola è inascoltata.
E non ditemi che non abbia buone ragioni per restare in silenzio chi si ritrova da solo ad ascoltare le proprie parole.
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