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Il corrosivo: Della morte e del morire

di Elso Simone Serpentini
7 minuti

Proclo,

Non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per avere o non aver paura della morte e del morire. Da giovani come da vecchi, è naturale temere di poter perdere la vita e dispiacersene. Ho trascorso quasi tutta la vita a leggere i testi dei più grandi pensatori e filosofi e non sono ancora riuscito ad elaborare mentalmente l’idea della morte. A nulla è servito l’appigliarsi - come fa un naufrago allo scoglio per non scomparire travolto dalle onde – al farmaco che ci consigliò nel suo giardino fiorito il maestro Epicuro.
Gli sentimmo dire che non esiste nulla di terribile nella vita per chi davvero sappia che nulla c'è da temere nel non vivere più, che è sciocco chi sostiene di aver paura della morte, e che più della morte affligge l’animo la sua continua attesa.
Cercò di convincerci che la morte, ritenuto il più atroce di tutti i mali, non esiste per noi, che quando noi viviamo la morte non c'è e quando c'è lei non ci siamo noi.
Ma sai anche tu come molti di noi già allora, mentre lo sentivamo parlare, non riuscivamo a raggiungere la sua stessa indifferenza nei confronti del morire e molti ancora non furono pienamente convinti della sua imperturbabilità anche di fronte alla sua morte.
Anche i maestri che ascoltammo in seguito non riuscimmo a trovarli lenitivi di quella nostra speciale sofferenza che proviamo nel pensare di dover morire o di veder morire i nostri cari.

Tutte le successive riflessioni di letterati e poeti, oltre che di filosofi, non hanno fatto altro che accrescere il nostro turbamento, invece di ridurlo. Sì che abbiamo sentito dire al Metastasio che “non è ver che sia la morte il peggior di tutti i mali, ma un sollievo pei mortali, perché cessan di soffrire”, abbiamo sentito dire da Calderon de la Barca che la vita è un sogno che finisce all’alba e abbiamo sentito Amleto porsi, con un mano un teschio, il dilemma dell’essere o del non essere, e ipotizzare che il morire, il dormire e il sognare siano sinonimi.
Abbiamo sentito qualcuno dire che anche Dio può morire e che ad ucciderlo siamo stati noi uomini e qualcun altro affermare che un elogio funebre non si nega a nessuno, nemmeno ai tiranni.
Che la morte ricopra tutti e tutto con il suo negro manto ed emendi tutti i peccati e tutti i reati, anche i misfatti e i crimini più atroci, lo abbiamo sentito gridare ad alta voce, contro quanti in ogni epoca hanno predicato che certi morti andavano sotterrati solo in terra sconsacrata. 

Abbiamo anche visto sparire improvvisamente la maldicenza intorno ai feretri ed elogiare chi anche fino ad un attimo prima di esalare l’ultimo respiro era stato offeso, deriso e vilipeso; abbiamo visto il mantello dell’ipocrisia ricoprire le urne, i sepolcri e i cipressi e abbiamo sentito dire che sono sempre i migliori che se ne vanno e che dei morti non si può dire che bene.
Ma abbiamo anche visto alcune tombe ricoperte di insulti e di infamie, e nascoste, occultate per poter sfuggire all’onta dei vincitori ancora in vita contro i morti sconfitti. Abbiamo visto di tutto e a poco ci è servito l’insegnamento del maestro, che ci invitava a considerare stolto colui che ammoniva il giovane a vivere bene e il vecchio a ben morire e a considerare che una sola è l'arte del ben vivere e del ben morire. 

Siamo stanchi di ipocriti epicedi, Proclo, così come di sterili invettive, e l’invito alla “Gelassenheit” o alla “atarassia” ci giunge fiacco nei tempi che corrono. Lasciamo che la plebe accorra pietosa con i propri serti accanto ai cenotafi che preferisce o di cui sente maggiore il richiamo, anche se non pochi hanno una pietà pelosa nei confronti dei grandi che muoiono lasciandoci grande eredità di affetti, non sempre nutriti in vita.
La morte, in fondo, rende tutti eroi e il morire pone fine sia al servo encomio che al codardo oltraggio, ma anche al codardo encomio e al servo oltraggio. 
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             Michel Onfray ha scritto: “Tutti camminiamo verso il nulla”.  

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A NOI LA MORTE NON CI FA PAURA diceva Epicuro, quando ci siamo noi non c'è la morte e viceversa, la morte è un attimo e non ci fa paura! In realtà non è così perché a noi ciò che ci spaventa non è la morte ma i preliminari di essa, ci terrorizza il morire che può durare mesi ed anni, che può rivelarsi un calvario. Immaginiamo i malati di cancro, i vecchi delle "case di riposo" con le loro piaghe da decubito e tutte le sofferenze che precedono la nostra morte corporale. I privilegiati che muoiono dolcemente nel sonno come auspicava Esiodo nelle Opere e i Giorni non sono molti. Scusate ma oggi sono come il tempo nuvoloso per nulla soleggiate! Sans souci
Convertiamo la paura della morte e l'idea stessa della caducità in amore per l'attimo irripetibile della vita, nello stupore per ciò che è. Senza sciupar via un momento, perché gli istanti a nostra disposizione sono in numero finito e ciascuno di essi non torna.