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Il corrosivo: Su Teramo cala il sipario?

di Elso Simone Serpentini
5 minuti

Il 12 novembre 1958 la pagina della cronaca locale del quotidiano IL TEMPO avviò un’inchiesta tra cittadini e lettori, invitati a rispondere ad una domanda: “Teramo è davvero una città morta?”.
Che Teramo fosse morta lo si diceva da tempo e molti ne spiegavano diverse e convergenti ragioni.
Così il giornale decise di andare a caccia di risposte, che andò pubblicando per qualche numero.
C’era effettivamente un generale clima di sfiducia e non poche furono le dichiarazioni sconfortate, anche se non mancarono le espressioni di fiducia e di speranza. C’era in città un’ansia di progresso, di crescita civile, di ricchezza.
Purtroppo a quest’ansia si cercò di dare sfogo con alcune scelte urbanistiche che si rivelarono scellerate. Basti pensare che passò per un segnale di crescita l’apertura di una filiale della Standa, costruita abbattendo a picconate l’oggi non mai abbastanza rimpianto Teatro Ottocentesco ed erigendo al suo posto uno scatolone inguardabile che ospitava, e ancora ospita, a piano terra i grandi magazzini e al piano rialzato un anonimo, sordo e freddo cineteatro comunale.

Nel corso dei decenni successivi, Teramo è tornata a chiedersi, di tanto in tanto, se fosse ancora viva o già morta.
Di recente, dopo la crisi economica globale che ha investito non solo l’Italia e l’Europa, ma tutto l’Occidente, e dopo alcuni eventi che hanno riguardato specificamente il locale sistema sociale, economico e finanziario, la domanda è tornata imperiosamente: Teramo è una città morta? Si cercano qua e là i certificatori di un decesso o quanto meno di uno stato agonico e pre-agonico del quale abbondano i segnali e i sintomi, che vengono dettagliatamente riportati in elenchi che diventano sempre più lunghi.
La desertificazione del centro storico (con una lunghissima e ancora non terminata ripavimentazione del Corso causa di una protratta inagibilità), ma anche delle periferie, che si è accresciuta in seguito agli eventi sismici e alla dichiarata inagibilità di edifici e privati e pubblici, comprese le scuole, ha prodotto un senso di smarrimento e di angoscia quasi mortale.
La gente si chiede: “Ci riprenderemo?”. I commercianti sono sull’orlo di una crisi di nervi e anche i fino a poco fa magnificati centri della grande distribuzione conoscono un momento di abbandono e di decrescita preoccupante.
I teramani non sanno più a che santo votarsi ed è subentrata, anche qui da noi, una grande sfiducia nella politica dei politicanti che fino ad ora ha imperversato. Le ferite del nostro tessuto urbano e sociale sono tante e profonde, il fiato è corto e le membra stanche, non si intravvedono sbocchi positivi di un’accelerata corsa verso un’oscura voragine.                                                                                               L’antica, vecchia domanda, a volte dimenticata, ma rimasta a covare sotto la cenere degli anni è: Teramo è una città morta? Essa appare ancora più grave considerato che dalle caratteristiche emergenti e visibili ci si deve chiedere se dalla domanda, così come viene formulata, non sia necessario togliere il termine “città”. Perché davvero Teramo non sembra più nemmeno una città, costretta a rinunciare al titolo per una retrocessione di rango fino a quello meno nobile di borgo. Sicché la domanda sarebbe: “Teramo è morta?” Davanti a queste strade dissestate, a questi edifici con davanti impalcature e sostegni di fortuna, a questi scorci degradati in cui non ha più senso parlare di arredo urbano né di decoro, preferisco non tentare di dare una risposta.

Scelgo di limitarmi – non posso però rinunciare almeno a questo – a dire che la sensazione che provo nel vedere queste vie e queste piazze deserte, come deserti sono i negozi e adesso anche i bar e i caffè, e le librerie e altri luoghi di aggregazione, è quella di un palcoscenico sul quale sparuti attori, invecchiati nell’interpretare le loro parti, allampanati come spettri, stanno recitando le loro ultime battute di un copione diventato anch’esso troppo vecchio per essere ancora credibile. Queste battute pronunciate quasi senza fiato sembrano lamenti, e giungono impercettibili in una platea senza più spettatori, che l’hanno disertata per l’ultima recita, mentre si odono già, stridenti, i conosciuti rumori della chiusura del sipario, ovviamente scolorito e tutto sgualcito.

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È in agonia, mentre avvoltoi volano a cerchio sopra di essa e gli sciacalli sono in agguato nelle strade deserta in attesa di cibarsi di quel che rimane .
È in agonia, mentre avvoltoi volano a cerchio sopra di essa e gli sciacalli sono in agguato nelle strade deserta in attesa di cibarsi di quel che rimane .
Una analisi sul nostro "borgo ex città" di una lucidità esemplare. Tutti i nodi vengono al pettine. I tanti troppi nodi accumulati in questi anni, lasciati li sperando che si dipanassero da soli... pia illusione. Ahinoi il povero pettine adesso non scorre più.
Teramo non è morta..e solo gestita da diverso tempo da incompetenti e miopi. Io comunque, no per il terremoto, no per ragioni economiche, andrò via a malincuore perché non posso più tollerare di essere amministrato da incompetenti. Ritengo che lamentarsi (parlo dei politici locali) vada bene ogni tanto, ma oggigiorno o si è capaci di migliorare il territorio anche con le poche risorse che si hanno, oppure è meglio che si lasci il posto a un'altro tipo di gestione. Concludo dicendo che non sono ne di destra ne di sinistra ma del partito del buonsenso che ahimè manca a molti.
Sì, Teramo è morta! La Teramo dell'espansione, il capoluogo settentrionale della marca borbonica, il ponte tra Settentrione e Meridione. Quella Teramo è deceduta. Da tempo, accusava patologie invalidanti. Da almeno, un ventennio. Gli ultimi eventi sismici e la difficoltà di gestire l'emergenza neve sono stati il colpo di grazia. Sarebbe riduttivo, semplicistico e persino ridicolo pensare che una città capoluogo muoia per colpa di una sola persona, di un'istituzione, di una qualsivoglia entità umana. Una città non è fatta soltanto di Amministrazioni pubbliche, di politici ed amministratori, di partiti politici, di consorterie di vario genere, di leader. Immaginare, ad esempio, che un Sindaco possa - con gli strumenti che ha a disposizione - invertire il declino è al limite del grottesco. Anzi, è una menzogna. Un autoconvincimento emotivo, nella migliore delle ipotesi, arrogante nella peggiore. Naturalmente, il capro espiatorio è la più semplice della soluzioni. Non costa nulla e paga soltanto una persona o qualche gruppo sparuto di persone. PRIMO: La classe politica è stata eletta dai cittadini teramani. La democrazia funziona cosi. Anzi, sono convinto che ne rappresenti, mediamente, la sintesi. SECONDO: Nell'ultimo ventennio, vi è stata alternanza politica. E non mi sembra che vi siano stati apprezzabili differenze. Non mi pare che siano comparsi statisti o, di contro, vacuità. TERZO: Teramo non ha più un nucleo industriale e, quindi, non produce più Domanda di lavoro. E' colpa di qualcuno, in particolare, oppure tale responsabilità è divisibile per centinaia, migliaia di persone, che hanno ricoperto ruoli istituzionali, imprenditoriali, professionali e finanziari negli ultimi 40 anni? QUARTO: il patrimonio immobiliare pubblico e privato di Teramo, in virtù dei reiterati eventi tellurici, ha dimezzato, flussi alla mano, il suo valore, mettendo in ginocchio molti proprietari, i cui sacrifici di una vita sono sfumati ad divinis. Di chi è la colpa? Di chi, forse, ha costruito abitazioni in pietra nel XXVIII secolo o di chi ha lautamente pagato quelle abitazioni immaginandole di prestigio? Oppure, certi eventi naturali, spesso, segnano la storia degli uomini e delle comunità? QUINTO: Chi ha responsabilità nella fuga di molti presìdi istituzionali (Caserma Alpini, Banca d'Italia, etc.) da Teramo? Si dirà che occorreva contrastare tali situazioni, inconsapevoli che certi meccanismi centrali sono troppo più forti della capacità di rappresentanza financo del migliore politico eletto in una città povera (vedi dati ISTAT flussi 1991-2011), che rileva una debole imprenditoria, che non ha avuto incarichi governativi nazionali dalla notte dei tempi (?), che non ha (statistiche ed indagini statistiche alla mano) servizi di eccellenza nazionale. SESTO: il vero danno inferto alla città di Teramo e ai teramani è quello per il quale, alcuni, continuano ad anelare una città che non è e che non potrà mai essere. Teramo e i teramani devono iniziare a programmare un futuro diverso, ridimensionato, adeguato agli indicatori di contesto, sociali, economici e culturali. Non ha senso, immaginare una città in crescita urbanistica, economica o finanziaria. Mentre, invece, avrebbe senso immaginare una città a misura d'uomo, con pochi, ma efficienti servizi, in cui la qualità di vita sociale e relazionale compensi i deficit strutturali. Una città in cui acquistare una casa (e lo vedrete a breve) sarà più semplice in termini economici, considerando il presente e il futuro deprezzamento, in cui ci potranno essere più occasioni di cultura, in cui si potrà godere, al di là della paralizzante nevicata, di un buon ambiente, di un'ottima ristorazione, di un tenore di vita meno espansivo, ma più focalizzato su ciò che abbiamo a disposizione. Certo, per fare ciò, non potendo immaginare il decollo industriale, dobbiamo - quantomeno - rendere virtuosi i nostri servizi (sanitari, sociali, d'istruzione ordinaria ed universitaria), i luoghi della natura, fare rete e coesione per riscoprire il senso di appartenenza ad una meravigliosa, ospitale e gentile comunità.
Dove non esiste un sistema.bancario locale, non esiste supporto alla crescita economica. MECAM, POP ABRUZZESE E MARCHIGIANA, TERCAS, BCC DI TERAMO non esistono più ...............
Concordo pienamente con le analisi di Anonymus. E' a causa delle ragioni poste dalla sua analisi che molti cittadini teramani hanno smarrito il significato delle parole "identità","comunità","senso civico". L'amore per la propria città, che va rinnovato ogni giorno, deve essere alimentato da una cultura personale, voluta e cercata, non inquinata dalle mode e dalle ideologie del momento, che aiuta a guardare la realtà senza infingimenti. Se non cresce questo tipo di cultura in ciascuno di noi, difficilmente vedremo cambiare qualcosa.
Anche io concordo con l'analisi, però non accetto più la retorica storia dei politici specchio della società. Perché io quando voto lo faccio sulla base di un programma o sulle capacità dell'uomo che deve aver già dimostrato in precedenza. ..se poi il programma non lo si rispetta o le capacità vengono meno...che colpa ne ha la popolazione? E poi perché non ammettiamo che siamo un popolo di clientelari? Va bene tutto...ma le cose vanno fatte e non subite..reagire reagire. ..cosa che gli amministratori, veri colpevoli perché è loro l'onere delle decisioni, non sanno fare.
Prof. Serpentini, non la conosco, ma seguo i suoi scritti su questo blog e nei suoi argomenti sembra dare parola saggia ai miei pensieri sconclusionati. E' vero Teramo è una città agonizzante, ferita mortalmente proprio dai teramani stessi ed è per questo che non si rialzerà sia come città che come provincia. Purtroppo paga dazio ad una mancanza di infrastrutture che ha fatto scappare via l'industria privata, lasciando spazio solo al settore pubblico, che è universalmente riconosciuto come la fabbrica di voti per un certo tipo di politica. Politica che intendiamoci, al teramano medio va benissimo, perché a suo modo ci sguazza e ci si ritrova, sa muoversi e navigare all'interno di essa, passando da un favore all'altro, da un'amico a un pugno di voti. Certo se 30 anni fa avessero fatto gli ultimi 30 km mancanti della Teramo - Mare magari adesso parleremmo di tutt'altro, se la pianificazione dello sviluppo cittadino e provinciale fosse stato fatto non per tappare i buchi, ma con una lungimirante visione d'insieme, adesso quella che chiamiamo crisi ci avrebbe colpito ma in modo meno grave. Il mercato del lavoro privato, quello serio, non quello dei voucher e dei cocopro, è l'unico in grado di assorbire l'onda d'urto della perdita di potere d'acquisto degli stipendi, gli stipendi statali, a parte quelli degli illustrissimi, sono solitamente medio bassi e non negoziabili. Al contrario un buon operaio specializzato o un buon dirigente d'azienda possono mirare ad ottenere uno stipendio migliore anche nel breve tempo. Adesso però Teramo si ritrova con la zona manifatturiera della Vibrata strozzata dalla concorrenza cinese, la zona di San Nicolò e Mosciano abbandonata dalle piccole e medie aziende che operavano sul mercato locale dopo anni di crisi e schifata negli anni del boom economico per la mancanza di quei famosi 30 km, la zona di Pineto - Silvi che da sempre è una zona di frontiera, più pescarese che teramana. Facciamo due conti: che ci resta? Il turismo marino? Soffre anch'esso da anni l'abbandono a favore di località che investono nella pulizia delle spiagge, nel funzionamento dei depuratori e nel rinnovamento di un mercato che si evolve di anno in anno. Basta andare in località come Fano, Pesaro, San Benedetto, senza scomodare la romagna. A sud non vale perché il mare è più bello. Le eccellenze enogastronomiche di un paesaggio collinare unico da 3000 al mare? Sono d'accordo, ma le aziende piccole hanno bisogno del tessuto sociale locale per essere supportato e adesso con questi chiari di luna chi è che cena la sera con una bottiglia da 5 - 10 euro sulla tavola? Le grandi sono poche e comunque impiegano poco personale, stagionale, e magari sottopagato in nero etc etc.. No anche quello non va bene. Se poi stanno chiudendo tutti i ristoranti più importanti, vuol dire che mediamente la cultura del cibo sta scendendo di livello sia di gusto che economico. Guardiamo allora verso la montagna, questo Gran Sasso che ci fa soffrire, trema e blocca le nuvole, ma per me è più bello delle Dolomiti, Stazioni sciistiche praticamente abbandonate, turismo estivo e invernale inesistente, pubblicità sotto zero, posti meravigliosamente sconosciuti al resto del mondo. Il resto è un posto alla team, al ruzzo, al cirsu, alla asl e una manciata di aziende che arrivano a fine mese e ringraziano Dio di riuscire a pagare tasse e dipendenti. Quel poco che c'è di sano e buono, non basta per alimentare tutti e quindi adesso che l'euro ci ha dimezzato lo stipendio e mangiato i risparmi dei nonni e dei padri, lo spettro della povertà ci fa impazzire, dobbiamo trovare un capro espiatorio, Brucchi, Gatti, Tancredi, D'Alfonso, Mastromauro... tutte facce della stessa medaglia che noi abbiamo scelto. Le banche da sempre fanno le banche e quindi i loro sporchi interessi, e non aiutano ne territorio ne cittadini, sono miopi e lo sono sempre state soprattutto quelle locali, spesso colluse con attori esterni esterni di dubbia provenienza. Cosa resta a Teramo? Credo ormai solo la morfina, l'attesa di un tracciato piatto e un lungo beep da bmovie americano. Buonasera Prof, grazie per i suoi scritti.